MA LA SENTENZA SU BERLUSCONI NON E’ CHE L’ENNESIMA, IN CASSAZIONE PENALE ANTIPRESCRIZIONE…


La corrispondenza al vero del contenuto della conversazione del giudice A. Franco con S. Berlusconi – assertiva dell’abuso decisorio in danno del secondo-, (almeno) in un paio di punti è supponibile:

1. il punto della imminenza della prescrizione del reato per decorso del tempo (pur se, come qualcuno ha insinuato, il suo calcolo fosse stato distorto per simularla);

1.1 il punto della corsa alla prevenzione della prescrizione, dapprima mediante accelerazione del deposito della sentenza di appello e quindi del termine per la proposizione di questo. Indi mediante accelerazione, in Cassazione, della udienza di trattazione (fino a mobilitare una Sezione feriale), prossima al giorno della prescrizione (punto tanto più eloquente ove l’imminenza della prescrizione fosse stata simulata, come cennato) .

1.2 Ma se tali punti sono certi (d’altronde, è stata la ANM, l’altro ieri entrando nella disputa sulla conversazione suddetta, ad evocare l’imminenza della prescrizione per giustificare l’intervento della Sezione feriale!), da essi è possibile trarre una più estesa corrispondenza al vero della conversazione, impiegando (quale “massima di esperienza” deduttiva) una prassi di Cassazione penale giudicante.

1.3 Che da più di trent’anni oramai, è divenuta nemica delle norme estintive o attenuative o scusanti dei reati, amica delle norme conservative o aggravative o inescusanti dei reati ( nemica ed amica, si noti, incondizionatamente. Perché altrettale, simmetricamente, rispetto alle funzioni difensiva e assolutoria, accusatoria e condannatoria). Ciò per involuzione culturale indotta da connivenza cointeressenza convivenza (date a loro volta, è ritenibile, anche dalla mancata “separazione delle carriere…”) con la sua componente requirente (la procura generale presso la stessa, sintetizzante, oltre che ispirante, le procure di ogni grado del territorio nazionale)-
Prassi che, in materia di prescrizione del reato, ha escogitato due mosse.

2. La prima.

Quando la prescrizione si affacci dopo il ricorso per Cassazione, il tracciato verso la prevenzione è quello esemplificato dal caso Berlusconi (sub 1.1.). Essa è attuata mediante accelerazione della udienza di trattazione che preceda o coincida il giorno della prescrizione (se non anche, come nel caso citato, mediante tutioristica accelerazione del deposito della sentenza di appello e quindi del termine per la proposizione di questo). Indi mediante rigetto ( talvolta anche mediante declaratoria di inammissibilità) del ricorso. La cui decisione, finalizzata come è, macroscopicamente, alla prevenzione suddetta, raramente è (supponibile) vogliosa di approfondimento fattuale e giuridico.

2.1 E’ quindi paradossale la sopra cennata evocazione , da ANM, dell’imminenza della prescrizione a spiegazione della trattazione feriale del ricorso. Perché proprio tale imminenza giustifica la supposizione della strumentalità del rigetto!

2.2 E nello stesso grado è paradossale il rilievo, fatto da taluno su una rivista (recentemente evocata), per cui sarebbero fissate le udienze in prossimità della prescrizione per dare la possibilità, tanto all’accusa di ottenere la (conferma della) condanna quanto all’accusato di ottenere l’assoluzione. Paradossale anzitutto alla luce del rapporto numerico delle condanne alle assoluzioni!!! Poi alla luce delle norme processuali: che (contrariamente al rilievo) permettono l’assoluzione anche a prescrizione compiuta (art 129.2 cpp)!!

3. La seconda.

Data la norma processuale di cui all’ art 129 cpp, per la quale la prescrizione del reato, compiuta, va dichiarata in ogni stato e grado del procedimento ( e quindi anche in ogni momento della trattazione del ricorso per cassazione), la Cassazione la ha disattivata . Con l’accorgimento della (dichiarazione di) inammissibilità dei ricorsi, fatta retroagire anteriormente al giorno della prescrizione (così, lì fermato il processo, è paralizzata la norma).
E, ovviamente, anteponendo le condizioni della inammissibilità dei ricorsi.
Come?
Per lo più affermando la corrispondenza (ad avviso della prassi!!!) dei (motivi dei) ricorsi alle condizioni ( della inammissibilità) previste in art. 606. 3 cpp. -la qualità della affermazione può essere intuita, il tecnicismo di questi enunciati può essere vinto, semplicemente ricordando taluni (ben noti e decifrabili) giurisprudenti televisivi, il cui diritto penale è in rapporto percentuale non molto alto con quello legale e dottrinale!-.

3.2 Questa seconda mossa è stata preordinata e organizzata istituendo la Sezione Settima di Cassazione penale, destinata esclusivamente alla ricezione delle richieste procuratorie di (declaratoria di) inammissibilità dei ricorsi e alla presa d’atto d’esse.

4. Le due mosse han generato serialità che han riempito di condannati il popolo italiano (in suo nome!), falcidiando incensurati e innocenti ( quali sarebbero stati gli accusati “prescritti”).

4.1 Tutto, si intende, autocraticamente (cioè indipendentemente dalla, se non contro o fuori la, legge penale) escogitato.
E sulla scorta di “principi di diritto” altrettanto autocratici (non rinvenibili in legge ma solo in Corte!)

5. Ma tornando alla (possibilità della corrispondenza al vero della) conversazione in avvio.

Basta l’uso deduttivo dei punti sub 1. 1.1, della prassi sub 1.3 , dello schema d’azione sub 2. per desumere la strumentalità del rigetto.
Questa, quindi, non abbisogna, per sostenersi, neppure del richiamo della recente sentenza (Agrama Berlusconi) del tribunale civile di Milano, che ha detto insussistenti gli illeciti ritenuti dal rigetto.

E nemmeno della “contrizione” del giudice Franco (peraltro “tentata” qualche tempo prima con l’allora consigliere del pdr Napolitano e, antea, “primo presidente” della Corte di Cassazione, E. Lupo: secondo quanto egli stesso ha ultimamente riferito!).
E nemmeno della aberrante (liturgicamente) anticipazione della motivazione (del rigetto) non ancora redatta (né ovviamente depositata), ad un giornalista de IL Mattino, dal presidente del Collegio A. Esposito (se ben si ricorda, il giorno seguente la sentenza), in un misto linguistico (secondo la registrazione fonica) italo-napoletano (nel quale invero è dubbiamente traducibile il diritto penale italiano correttamene parlato!).
Anticipazione che oggi, alla luce della (da lui A. Franco asserita) volontà di non sottoscrivere la sentenza (volontà rientrata dopo i “richiami al dovere” del presidente) assume l’aria della induzione all’adempimento, quasi una precostituzione (pubblica) del suo contenuto, per spingere ad esso.
6. Dunque disapprovabile la conversazione Franco-Berlusconi?
Se mai la prassi su esposta.
Che nel caso giudiziario di specie, (peraltro) parificato ad ogni altro, ha, di proprio, registrato l’estrinsecazione del moto interiore di un giudice, verosimilmente per la non comune dimensione sociopolitica del condannato, e degli effetti al seguito.
Ma anche, non è da escludere, a simbolo della critica generale di quella prassi.
pietro diaz

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GILETTI MASSIMO: EDIZIONE INTEGRALE

1. Ad illustrare Giletti basta il sadismo?

La condizione di chi tragga godimento dalla sofferenza altrui ( in questo caso di genere penitenziario), tanto maggiore se da lui cagionata (i decreti Bonafede dopo la ormai famosa telefonata di Di Matteo in pieno show televisivo, ben orchestrata previamente dal conduttore).

Godimento a sfondo (pur remotamente) sessuale, secondo la celebre rappresentazione che ne dette il marchese De Sade.

Ma anche a sfondo non sessuale, secondo alcune visioni della moderna psichiatria

1.1 Non basta il sadismo, ad illustrare Giletti, va aggiunto il narcisismo.

Quando, teatrale, officia l’autorappresentazione. La conduzione di sé in un format televisivo affidatogli perché vi conducesse altri…!

L’autoconduzione, anche ad esercizio delle sue (le sue..!) vendette: “perché ho avuto amici uccisi dalla mafia!”.

O dei suoi ( i suoi..!) sdegni : “ho pagato di tasca come cittadino perchè quel poliziotto si arrampicasse sulla cima dalla quale precipitò”.

O, sovreccitato e stridulo, fuor di sé da mentitore smentito: “non sopporto che si menta nella mia trasmissione!” (… la trasmissione è sua, anzi egli è la trasmissione…!) .

1.2 Sadonarcisismo, dunque, il suo, di genere penitenziario, tanto più acuto e psichiatrico, allorchè, all’ultimo show, ha disciolto lo studio televisivo in un ’aula parlamentare Antimafia – nella quale taluno, sebbene audìto dalla Commissione e quindi altro da questa, è al banco della presidenza col presidente! e sciorina monotonamente paginette sue (ma di stili e concettosità differenti, quindi scritte a più mani), nelle quali dettaglia la telefonata (surricordata) -.

Aula alla cui solennità, peraltro, ha alternato la propria, con una rassegna (supposta antologica!) delle sue più brucianti invettive della serie televisiva in oggetto, invasato, egomane, egopatico, egolatrico.

2. Ma neppure tanto sadonarcisismo, pur così tragico ( e comico), illustra compiutamente Giletti, se disgiunto dall’ossessione (:psichiatrica, idea fissa, monomania…).

Se si va a vedere l’ invettiva contro la “liberazione” di Zagaria – che ha preteso in carcere sebbene fosse a domicilio perché, là, incurabile- , si scopre che (a detta dei suoi avvocati, i quali, inoltre, han tenuto a sottolineare che non fu condannato per delitti di sangue..!) egli lascerà il carcere per fine pena nell’anno 2022.

Ora, se si rileva che l’ avvenimento, prossimo, lo porrà in completa libertà.

Che, d’altronde, lo farà supponendo (per legge) che sia l’attuale restrizione che la pregressa abbiano disattivato la capacità a delinquere del condannato, che questi sia stato rieducato.

Che, per conseguenza, la impercettibile variazione modale della restrizione, pur sempre inframuraria, cambierà nulla del corso delle cose,

Allora:

nulla avrebbe potuto turbare il sadismo.

Se mai, il narcisismo, costretto a rinunciare all’esibizione.

Ma ecco che è subentrata l’ossessione, l’idea immodificabile della imprescindibilità del carcere, sorda ad ogni richiamo delle evidenze, annientante ogni (benchè minimo) residuo di autocritica dell’insanità suddetta.

E di fatti, più che mai morbosa, è partita l’invettiva….

pietro diaz

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SALVINI… DIONESALVI…

Rivolto al “Garante dei detenuti”, il prof Palma, sprezzantemente :

“il garante dei delinquenti”…

Potrebbe replicarsi, anche il suo garante? Posto che, per l’uso che fa del termine, anch’egli sarebbe un delinquente, per di più accusato di delitti (più d’uno) di sequestro di persona.

O, egli, non ci si sente, delinquente, convinto che possa non sentircisi “l’ eletto dal popolo”, per di più ministro del popolo allorché delinquette?

Quindi, “ delinquente”.

Ma anche analfabeta, di ritorno e di andata.

Di ritorno, come i più, di ogni strato sociale, anche politico e mediatico, e istituzionale, poiché ancora non afferra che, i “delinquenti” garantiti da Palma, sono pezzi di popolo detenuto dal popolo restante, ancora in attesa di esauriente illustrazione della ragione e dello scopo di ciò, posto che:

comportando quale primo effetto la devastazione o la distruzione, la dissipazione, di umanità potenzialmente utile socialmente; e quale secondo effetto la sottrazione d’essa all’umanità restante:

il risultato “ economico” è in netta perdita; e il guadagno è dato esclusivamente, per chi lo praticasse, dall’esercizio del cannibalismo sociale.

Per giunta fondativo del più mostruoso potere, quello dell’uomo sull’uomo, organizzato in pubblica istituzione.

Ad attenuazione dei quali potrebbe addursi non altro che la superstizione (della funzione sociale della suddetta detenzione).

Una componente, tuttavia, come è noto, della mentalità primitiva, seppure coesistente alla mentalità moderna (ma ad anni luce di distanza culturale..).

E tanto meno afferra, il suddetto, seppure politicante quale legislatore, che se “ delinquente” è colui che infrange una legge, questa può delinquere a sua volta, può esser fatta da delinquenti (leggi razziste, ad esempio, la sua passione, leggi antierba che non sia tabacco, altra sua passione…e via dicendo).

E, delinquendo la legge, è pretestuoso ( e delittuoso) trattare da delinquente chi la infranga.

Sotto questo aspetto, per ciò, il suo è analfabetismo funzionale, inescusato dal fatto che sia anche di massa.

Ma, egli è anche analfabeta originario, letterale.

Perché, se delinquente è verbo participio presente di chi delinque, e delinque chi commetta delitto attualmente, egli ignora che la legge penale non annovera solo delitti, ma anche contravvenzioni. Non contiene soltanto “delinquenti”, ma anche “ contravventori”.

Quindi, Palma garantisce gli uni e gli altri quando siano detenuti.

Ed allora, il sunnominato discrimina gli uni dagli altri o parla d’essi mentre dovrebbe rigorosamente tacerne?

Ciò sebbene il suo analfabetismo, da un po’ di tempo sia condiviso, anzi accresciuto, anche da polizie e magistrature, nei loro rapporti decreti ordinanze sentenze. E dai cortei mediatici al seguito.

Dove delinquenti e contravventori, delitti e contravvenzioni, categorie qualificatorie legalmente dovute e inomissibili, sono disciolte in quella unitaria di “criminale” e di crimine”. Inesistente nella legge penale, e perciò incapace, oltre che di narrarla legittimamente, di applicarla.

Ma che appaga esigenze retoriche, di enfatizzazione dell’opera, delle suddette, e della sua giustificazione (mediante la ingiustificazione massima del loro oggetto, appellato “ criminale” ).

Oltre che esigenze di camuffamento della diffusa impreparazione linguistica e argomentativa dei locutori.

Ma ripetesi, che Salvini sia in siffatta compagnia non scusa neppure minimamente i suoi analfabetismi.

pietro diaz

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CASELLI


“Occorre un rinascimento culturale della magistratura” (altrettanto, Spataro, che invoca il “rinnovamento morale”).
Magistrato in pensione, già esercente il potere funzionale, ora lo adula, lo blandisce, per restare comunque nel giro, e, dio mai volesse, per non subirlo.
In tale postura è patetico, anche perché, tornato (formalmente) alla “società civile”, ostenta di non esserne stato (nemmeno) lambito. Per di più, non lo è stato effettivamente, immutabile, irrettificabile (irredimibile…).
E così, perseverando, dai tempi della funzione, nella convinzione che sia l’idea a foggiare la realtà, che questa dipenda da quella non viceversa, a riforma della magistratura non propone di partire dalla realtà ma dall’idea (la sua “storica” inquisizione su Andreotti, diretta a surrogare la critica politica con quella giudiziaria, ben esemplifica il personaggio..).
D’altronde, quale ne sia la condizione, lo mostra senza indugio un’altra emissione, accanto alla suddetta:
“Se si separano le carriere la legge non sarà rispettata da tutti…” (?!)
Dove non c’è sforzo di comprensione dell’estrinseco che riesca a penetrare l’obnubilamento dell’intrinseco.
O che , penetrandolo, riesca a misurarne la perversione…
pietro diaz

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PALAMARA ESPULSO DA ANM: NON FARO’ DA CAPRO ESPIATORIO…

1. Che l’espulsione sia stata, intenzionalmente, tesa a significare che:
-tutto sarebbe stato opera d’uno; diversamente, tutti o almeno anche altri sarebbero stati espulsi;
-l’espulsione dell’operatore avrebbe impedito la riproduzione dell’opera;
– ciò avvenendo, tutto sarebbe stato risanato;
che l’espulsione, dicevasi, abbia avuto quella intenzione, è evidente.
Non essendo pensabile che un’opera di mediazione incessante, cruciale , tra “ correnti”(pretendenti, aspiranti ad incarichi e a cariche, o a benefici o vantaggi di vario genere funzionale), guidata da uno, potesse (già dinamicamente) non essere stata di tutti (i partecipanti ad essa, s’intende). Tutti avendovi interagito concorso competuto.
E non essendo pensabile che non ne avessero tutti coscienza.

1.1 Ma se l’espulsione, come si diceva, ha avuto quella intenzione, l’associazione, espellendo l’autore dell’opera, ha fatto il conto con sé stessa.
2. Cioè ha espulso” anchesé stessa, ma in forma parziale e traslata , mimetizzandolo, celandolo. Nel rituale del “capro espiatorio” (non a caso subito percepito dall’espulso).
Rituale di ascendenza biblica (Levitico, Talmud, Mishnah: allegoricamente ), forse precedente essa, per il quale, archetipicamente, la colpa d’una comunità era “espiata” sacrificando uno o più dei suoi membri. Mediante “olocausto” di parte d’essi ed allontanamento di altra parte nel deserto – ove perisse di stenti-, recando il fardello della colpa comunitaria su di sè (s)caricata – esemplificando: il rituale dell’allontanamento nel deserto ebbe rappresentazione icastica nel destino degli Armeni intorno all’anno 1915; quello dell’olocausto, nel destino degli ebrei e di altri, intorno all’anno 1940).
Allontanamento ed olocausto, quindi, tanto responsabilizzanti alcuni, della colpa della comunità, quanto deresponsabilizzanti questa. In effetti trattenente ( e quindi riproducente e perpetuante) la sua colpa. E, se “ espiante”, non ravvedentesi, di questa, non riscattantesi dal substrato genetico.

2.1 Così che, imboccata la via del deserto o dell’olocausto, è acclarata la volontà della perseveranza nella colpa. Del mantenimento puntuale in statu quo ante.
E così che la soppressione del “capro” non sopprime affatto la colpa comunitaria.
Ciò è tanto vero che , ravvisato (anche solo) l’indizio del rituale del “capro”, è desumibile univocamente (per la costante sociostorica relativa) sia l’esistenza della colpa, nella comunità celebrante, sia la volontà di conservarla e riprodurla.

2.2 E anzi, da ogni “dispersione nel deserto” e da ogni “olocausto” di parti della comunità, ne è desumibile la volontà politica di deresponsabilizzarsi della colpa.

3. Per cui, pare arduo dare torto a Palamara e ragione ad ANM.

E socialmente e politicamente dovrebbe ammettersi l’inverso e operarsi in conseguenza.

pietro diaz

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GILETTI E IL CALCIATORE GIUDIZIARIO…

In un incontro televisivo “fuori sede”, che, per leccarsi alcune ferite subite in precedenti incontri, s’ è fatto organizzare da M. Merlino nel suo “salotto”, egli – crassamente ignorando tutto o quasi del campo battuto da Di Matteo-, ponderando calcisticamente la professionalità di costui, la ha equiparata a quella del calciatore Ronaldo.

Come se quel magistrato lavorasse di piede, se catturando qualcuno andasse in goal e più catture facesse più eccellesse; e se la rete individuale familiare sociale del catturato fosse rete da calcio, stessa fibra tessile, paziente lo stesso urto.

O all’inverso (nella complessità del fare), come se andando a rete (fuori dei dibattimenti, nel suo campo elettivo, nelle “indagini preliminari”) quel magistrato si imbattesse in difensori e portieri, o in arbitri che gli contestassero il fuori gioco il fallo semplice o il fallo di rigore.

Laddove, nel suo campo, i difensori sono (per legge) inesistenti, e il giudice è un simulacro.

O come se la cattura del “mafioso”, per la quale basta che taluno sia detto tale da talaltro, abbia lo spessore tattico dell’azione verso il goal osteggiata da un’ intera squadra avversaria.

Insomma, Giletti non ha nemmeno sospettato che Ronaldo potesse adontarsi della equiparazione…

Tanto più se, per avventura, il calciatore avesse, del magistrato, una conoscenza meno stereotipata di quella del “ conduttore” ( e delle caterve di spettatori passivi delle sue imprese, che la hanno imbastita ..).

pietro diaz

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L’INCOMPARABILE FUNZIONE INTERPRETATIVA DEI CINQUESTELLE

Fosse vera (e ovviamente va presunta falsa..) l’intesa politica e finanziaria, nell’anno 2010, tra il regime venezuelano di Chavez (Maduro ministro degli esteri) ed il Movimento grillino basato Casaleggio GR.. Intesa supponente questo “anticapitalista di sinistra e rivoluzionario”:

che cosa si dovrebbe pensare dell’intelligenza politica di quello?

O, alternativamente, dell’effettiva sua indole politica? Tanto rappresentante il genere (“anticapitalista…) quanto lo rappresentasse il Movimento?

Cioè rappresentanti il genere all’esatto opposto in ognuno dei suoi termini?

Ma quando ciò fosse, si potrebbe cominciare ad assumere il Movimento a chiave (infallibile) della interpretazione politica di ogni formazione sociale che intrattenesse una qualche relazione con esso?

Ed anche a chiave della contaminazione politica d’essa, ove mancante?

pietro diaz

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SERIAL KILLER..?

Il Manifesto così denomina i poliziotti di Atlanta che hanno abbattuto (ieri s.e.), con tre colpi alle spalle, un (altro) afroamericano.

Ma il serial killer è una figura della criminalità individuale, caratterizzata dalla serialità, numerosità, del comportamento omicidiario.

Non è una figura della criminalità collettiva formata, organizzata o associata, pur quando questa operi serialmente, uccidendo o altrimenti delinquendo.

A questa figura, di criminalità organizzata o associata, più rettamente, quindi, andrebbe riportata, in ipotesi, la polizia americana reiteratamente assassina degli afroamericani.

Pur se tale denominazione essa rifiutasse, affermandola, anche per averla impressa, pertinente esclusivamente agli aggregati sociali oggetto delle sue inquisizioni.

Perchè le denominazioni sono sovente transitive, traslative, e strategiche, strumentali alla schermatura dell’autore, alla sua disidentificazione dal denominato…

pietro diaz

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L. MANCONI E I MORTI PER SOFFOCAMENTO

1.Ne ha fatto una rassegna su l’Espresso, enumerando i casi di soppressione di persone mediante soffocamento, attuata dalla polizia italiana.

Lo ha fatto a comparazione analogica della soppressione di G. Floyd dalla polizia del Minnesota.

Ma avrebbe potuto farlo rispetto ad ogni altra polizia del Globo senza tema di indebita universalizzazione della istituzione.

Perché in ogni parte del globo assumente la forma Stato, ove la violenza è – immancabilmente, per l’immanenza dei conflitti di classe- elemento e strumento della interazione sociale generale:

dalle istituzioni che se ne avvalgono e la governano, essa è mimetizzata, organizzata giuridicamente nelle condizioni del suo esercizio e, così trasfigurata, consegnata alle “forze dell’ordine” e autorizzata.

E’ pur sempre violenza bruta, che tuttavia, “legalizzata”, ha modo di sfogarsi “giustamente” (impunemente). E, perfino, modo di ottenere deferente sottomissione, oltre che apologia.

Ovviamente, dove la violenza “civile” , la suddetta, sia costitutiva, lo è anche, latente, la violenza militare, bellica. Che tuttavia, per esprimersi, non richiede mimetizzazione né trasfigurazione, essa si esprime allo stato puro, bruto.

Dunque la polizia del globo è il titolare antonomastico dell’autorizzazione all’esercizio della violenza civile.

E quando non sia autorizzata a giustiziare sul posto, ad esecuzioni extragiudiziarie, quelle dei casi sopra segnalati, è altamente probabile, e ampiamente prevedibile, che si autorizzi da sé.

2. Ma la questione saliente, in analisi sociopolitica comparativa, è se sia possibile dissimilare formazioni statali assimilate dalle istituzioni di polizia.

Su quali piani e gradi e per quali criteri sia possibile.

Se sia possibile, e in che misura lo sia, dissimilare lo Stato italiano dallo Stato del Minnesota ( o del New Jersey, che avrebbe di poco preceduto questo- si apprende oggi- in esecuzioni extragiudiziarie), nonostanti le loro specificità geoculturali e storiche (il primo non conosce un conflitto di classe neri- bianchi razzistico nel grado del secondo o del terzo, e tuttavia ha avuto la “Scuola Diaz”, oltre i casi sopra indicati).

Cioè è saliente la questione se l’assimilazione indotta dalle polizie non assorba (culturalmente) le specificità suddette.

Insomma quale sia la dissomiglianza strutturale, effettuale, fra l’Italia e Il Minnesota e il New Jersey, o tra questi e le Filippine di Duterte o l’Egitto di al Sisi.


Forse la negano le polizie che si reputano, e son per lo più reputate, bene universale?

pietro diaz

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Linkiesta, 4 Giugno 2020.IL PROBLEMA DEGLI STATI UNITI E’ L’INCARCERAZIONE DI MASSA

Ferdinando Cotogno

Il delitto di Minneapolis ha fatto riemergere tutti i difetti del sistema: in America si arresta un cittadino ogni tre secondi. Quasi 5 milioni di americani sono stati in prigione, molti dei quali per delle infrazioni lievi. E gli afroamericani finiscono in galera a un tasso cinque volte superiore a quello dei bianchi

Non c’è modo di capire l’ultima settimana di storia americana senza vedere cosa succede dall’altro capo dell’arresto e della morte di George Floyd a Minneapolis. Da un lato della vicenda quattro poliziotti arrestano e ammanettano un cittadino sulla parola dei commessi di un negozio, che lo accusano di aver pagato le sigarette con venti dollari contraffatti.

Dall’altro c’è il sistema di incarcerazione di massa, nel quale si può entrare anche per colpe anche più lievi di una (presunta) banconota falsa e che fa degli Stati Uniti la nazione con più detenuti al mondo.

Sono 2,3 milioni le persone attualmente dietro le sbarre, sparsi tra oltre 7mila carceri statali, federali e locali: un tasso di 698 detenuti su 100mila abitanti. Secondo i dati di Prison Policy, uno dei tanti progetti di riforma del sistema carcerario, mezzo milione sono in attesa di giudizio.

Spesso non hanno i soldi per aspettare la sentenza da persone libere, perché la cauzione costa in media 10mila dollari, o otto mesi di stipendio. I numeri del problema diventano ancora più imponenti se guardiamo quanti cittadini ogni anno vengono arrestati dalla polizia: secondo gli ultimi dati aggregati dall’FBI sono 10,3 milioni, un tasso di 3,152.6 per 100,000 abitanti.

Parliamo di un ingresso nel sistema penale ogni tre secondi, la maggior parte dei quali non porterà a nessuna incriminazione e nessun processo. I numeri hanno una scala da pandemia: quasi 5 milioni di americani sono stati in prigione, 77 milioni hanno un «criminal record». Poco meno di uno su due (113 milioni) ha un parente diretto che è stato in carcere a un certo punto della sua vita.

È come se ormai essere arrestati facesse parte dell’esperienza americana, soprattutto per minoranze e poveri. Non è sempre stato così: dalla fine della Guerra civile nel 1865 alla war on crime di Lyndon B. Johnson 184mila persone erano state in prigione.

Da lì alla guerra alla droga di Reagan sono raddoppiati e la corsa non si è più fermata. Il dato attuale vuol dire un aumento del 943% in mezzo secolo. Come è successo, visto che i crimini violenti sono calati del 51% dagli anni ’90 a oggi?

È quello che Alexandra Natapoff nel suo libro Punishment Without Crime (Castigo senza delitto) ha definito «massive misdemeanor system», l’impostazione punitiva che da anni nutre l’apparato penale.

Quella dei misdemeanor è la vasta categoria delle infrazioni lievi per le quali un poliziotto può ammanettarti in America: attraversare fuori dalle strisce, stare seduto sul marciapiede, guidare senza cintura di sicurezza o con uno stop rotto, bere quando non hai l’età legale per farlo.

Lo spettro di quello che è considerato punibile negli Stati Uniti è una rete da pesca a strascico lanciata ogni giorno sulle città. Nel suo libro, Natapoff calcola che l’80% degli arresti a livello nazionale è per un’infrazione di questo livello, un’aneddotica di cui la stampa locale è piena: bambini arrestati a scuola perché iperattivi, sceriffi che organizzano retate di adolescenti accusati di avere una birra.

Questa impostazione porta devastazione nella vita delle persone, può far perdere il lavoro, la casa, le borse di studio, l’affidamento dei figli, minare la salute fisica e mentale, e soprattutto crea un numero spropositato di interazioni pericolose e non necessarie tra le forze dell’ordine e i cittadini.”

COMMENTO

Se il nulla, dell’infrazione, può suscitare il tutto, in reazione, è evidente che, per l’istituzione reattiva, polizia e magistratura, nulla è l’infrattore.

Questo rapporto tra il nulla, dell’infrazione e dell’infrattore, ed il tutto dell’ istituzione reattiva, cosi impari, diseguale, inversamente proporzionale, mostra che il passaggio, storico, dalla giustizia privata (vendetta, faida, a relazione proporzionale dei termini, talioniche ) alla giustizia pubblica (statale) non è stato affatto evolutivo, malgrado le attese.

E mostra che l’autore di giustizia pubblica a moderazione per sostituzione della giustizia privata, avendo tolto ogni proporzione alla reattività propria, è divenuto giustiziere a sua volta.

Ha privatizzato la giustizia pubblica e, monopolizzandola, si è sovranisticamente assolutizzato.

E molto più dell’autore di giustizia privata si è disumanizzato. Poiché non proporzionandosi all’avverso in quanto umano, lo ha cosificato, reificato; e “mediato”, trasformato nel mezzo della ostensione del proprio potere sociopolitico. Che è gratificato quando sovrasti fino all’annientamento.

Così che, se si cercasse quale potere sia più nemico al popolo ( del quale comunque, l’infrattore è parte inscindibile! ) non potrebbe dubitarsi che lo sia il suesposto, che non ve ne sia altro più nemico.

E che , quindi, l’azione politica che muovesse alla (democratizzazione come) depoterizzazione di quanto sovrasti il popolo, anzitutto ad esso dovrebbe guardare, anche perché essenza di altri poteri insediati nelle istituzioni sopra il popolo.

Ma la nullità dell’infrazione nullificante l’infrattore segnala che, l’infrazione, non è altro che disobbedienza.

L’infrattore ha mancato di obbedire, non importa il valore sociale del non obbedito, importa che egli non abbia obbedito, che sia stato disobbediente.

E quando la sola disobbedienza è un crimine (ritorna ad esserlo malgrado l’evoluzione storica della cultura penale, che alla disobbedienza al comando aggiunse la commissione di un Fatto sociopoliticamente rilevante), il disobbedito è maesta sovrana, la disobbedienza maestà lesa.

L’autoritarismo giuspolitico non potrebbe essere maggiore…

pietro diaz

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GLI IMPRENDITORI SECONDO I GRILLINI…


Sarebbero “prenditori” gli imprenditori privati, secondo la inveterata propaganda a Cinquestelle.

1. Propaganda non solo incolta perché ignorante l’apporto all’economia nazionale delle imprenditoria privata: in attività generativa e conservativa di lavoro (d’altronde fondativo della repubblica, per art 1 cost.); in attività di apprestamento immediato di welfare privato, e mediato quale finanziatrice del welfare pubblico.
Oltre che in attività di moderazione e riduzione della politica penale, incarceratrice dei “senza lavoro” che “illegalmente” azzardino di sopravvivere.
In attività, quindi, di integrazione e assicurazione del benessere sociale (contro talune orde, pubbliche, istituzionali, dei portatori del malessere sociale..!).

2. Propaganda non solo incolta perché (totalmente) ignorante la posizione teorica della imprenditoria privata nella politica economica nazionale e sovrannazionale: l’imprenditore quale motore della innovazione, dello sviluppo, della soluzione della crisi, della “distruzione creatrice” (sollevatrice dalla stasi economica); (e finalmente) della riforma della struttura sociale (Schumpeter).

3. Ma perché furbescamente nasconditiva, mentre sbandiera la speciosa formula deprecatoria (“prenditori”), della “prenditorialità” propria (della sua base popolare e del suo vertice), direttamente predatoria delle risorse pubbliche, non solo finanziarie ma anche sociali, le risorse del privilegio, del rango, della sovraordinazione, della superiorità gerarchica, del potere.
Una prenditorialità a Cinquestelle.
Basti osservare l’opera di Di Maio, l’”anticorruzione” in persona, sfegatato fino al ricorso, mitomane e penomane, alla provocazione (con agenti) della corruzione (altrimenti) mancante!
L’opera di piazzamento nei ministeri dei suoi compagni di scuola o di strada.
Secondo l’elenco che ne ha dato (meritoriamente) G. Paragone: “ Dario De Falco, ex capo della segreteria politica di Luigi Di Maio. L’ex punta di diamante del sontuoso staff made in Pomigliano di Luigi Di Maio….
De Falco si è accasato a dicembre nello staff del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro,….Il contratto è stato registrato il 5 settembre scorso, giorno del giuramento del Conte bis… De Falco, pomiglianese e amico d’infanzia del capo politico dei Cinque stelle, è stato il primo a essere “salvato” dal navigator Di Maio nel passaggio dal Conte 1 al Conte 2.Lo stipendio non è ancora noto: il decreto che stabilisce il compenso è in fase di registrazione. Dario De Falco sarà consulente del sottosegretario Riccardo Fraccaro per le questioni istituzionali….
Nello staff di Di Maio alla Farnesina invece c’è Carmine America, ex compagno di Di Maio ai tempi del liceo Imbriani di Pomigliano d’Arco, già con lui al Mise. America è stato chiamato come «Esperto questioni internazionali sicurezza e difesa» con lo stipendio annuale di 80mila euro.Fino a qualche tempo fa in lista c’era anche Assunta “Assia” Montanino, 27enne originaria di Pomigliano d’Arco, chiamata da Luigino come «Segretario particolare del Ministro» (si candidò anche a Pomigliano nel 2015). È rimasta al Mise, con la qualifica di «Capo della Segreteria del Ministro dello sviluppo economico».
Sempre al MISE c’è Enrico Esposito, originario di Acerra, ex compagno di università di Luigino, da lui chiamato a Roma come capo del legislativo, anche lui equiparato ad un dirigente con 150mila euro di stipendio”.Ed è agevole immaginare l’adeguatezza dei suddetti ai ruoli. Basta trarla analogicamente, in generale, dallo stato culturale e professionale dei Grillini; in particolare, dalla affinità con Di Maio: pares cum paribus..

Ebbene

4. Tanta “prenditoria”, comunque, non la nasconde nemmeno l’accanimento con cui, dall’avvento al governo (l’infausto giugno 2018) del raggruppamento parlamentargovernativo a Cinquestelle, l’imprenditoria privata è stata dileggiata sfregiata devastata, fino ad essere, nel primo quadrimestre dell’anno in corso, interdetta militarmente dalla attività stessa.
pietro diaz

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I L 29 GIUGNO PROSSIMO ANDRA’ IN AULA PARLAMENTARE IL DDL POPOLARE SULLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE PM GIUDICI: DAVIGO, IL “GIUDICE” INSEPARABILE DAL PUBBLICO MINISTERO (ANCHE NELLA VERSIONE PIU TRUCE..)

Il Riformista 29 maggio ’20 riporta:

Il ‘manifesto’ del magistrato

La giustizia secondo Davigo: “L’errore italiano è dire aspettiamo le sentenze”

“L’errore italiano è stato quello di dire sempre: “Aspettiamo le sentenze”. Se invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, non devo aspettare la sentenza della Cassazione per non invitarlo di nuovo”. Sono le parole del magistrato Piercamillo Davigo, ospite giovedì sera della trasmissione di La7 Piazzapulita, che hanno alzato un vero e proprio polverone.

Il membro del Csm conferma così la sua nota visione della giustizia. Per ribadire il concetto Davigo, che si è confrontato con Gian Domenico Caiazza, il presidente dell’Unione delle Camere penali, ha fatto due esempi. “Se io invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, per invitarlo a cena non sono costretto ad aspettare la sentenza della Cassazione. Smetto subito di invitarlo a cena”, ha detto il magistrato.

Ma non solo. Davigo fa un secondo esempio ancor più grave: “Se il mio vicino di casa è stato condannato solo in primo grado per pedofilia, io in omaggio della presunzione di innocenza gli affido mia figlia di sei anni affinché l’accompagni a scuola? No, perché la giustizia è una virtù cardinale, ma anche la prudenza è una virtù cardinale. Il punto è: se l’opinione pubblica e soprattutto la politica decidesse autonomamente, non ci sarebbe tutta questa tensione sulla magistratura”.

1. Quest’ultima, ma non nuova (ecolalica? Ripetitiva senza sosta di medesimi pensieri con medesime parole, dimentica del passato e chiusa al futuro?) effusione verbale dell’”informatore” penale (tra i più disinformativi) che poco informati conduttori televisivi continuano a rifilare al popolo – Floris “Di Martedi”, Formigli di giovedì (“Piazza Pulita”)-, conferma che il suddetto, sebbene consigliere togato del csm e fino a ieri presidente della seconda ( seconda!) sezione penale della corte di Cassazione, a malgrado quindi di un pluriennale contatto col diritto, non ha conseguito la capacità, o ha represso o gettato la volontà, di distinguere tra l’esperienza domestica, sua e dei suoi simili, del reo flagrante o destinatario di prima condanna, e l’esperienza giudiziaria d’essi.

Incapacità o nolontà di distinguere che, se nella prima esperienza è (giuridicamente) permesso supporre reo il soggetto, nella seconda, all’opposto, è vietato.

Lo è, in questa, per obbligare l’accusatore a dare la prova della reità, così da liberare l’accusato dalla prova del contrario ( a meno che quella sia stata data).

E ciò a sostegno di un “minimo etico”, tra chi sia (istituzionalmente) dotato del potere di accusare di reità, cioè di quanto potrebbe scomunicare (estromettere dalla comunione sociale) e relegare il reo, e chi non possa che sottostargli.

Al quale perciò, compensativamente (equitativamente), è dato il diritto (assoluto, perché di Ordine Pubblico) che ne sia provata la ragione – ed invero, anche il diritto a non essere relegato prima che quella sia definitivamente provata, almeno secondo la Costituzione in art 27, norma superiore pur se oltraggiata da (ab)norme inferiori.

Il tutto sotto principii e regole metodologici, di ricognizione e di cognizione del fatto a giudizio e della sua relazione all’accusato, ineludibili a pena di fallimento epistemico (che cerca e pone le condizioni del vero) del processo (veridico e veritativo) , che nulla hanno a che vedere – perché elevati dalla pubblicità degli interessi che curano- con le regole empiriche, domestiche, di ricognizione e di cognizione delle reità, delle quali si avvale, e che teorizza e propaganda, il suddetto.

Il quale comunque, sia che non abbia acquisito la capacità, sia che abbia represso o gettato la volontà, di distinguere le due esperienze, è indirizzato non solo a dissolvere la consistenza giuridica (e costituzionale) della seconda (presuntiva della non colpevolezza dell’accusato fino a condanna definitiva), a ridurla a consistenza empirica che il potere accusatorio e (condannatorio) più agevolmente gestisca, ma anche a strozzarne la funzione sociale educativa, dell’esperienza domestica, a dubitare delle flagranze delle sue reità, perché nella realtà, immancabilmente, l’inapparente è infinitamente più esteso dell’apparente.

2. Ma se questo è il suo stato, se non distingue tra esperienza privata ed esperienza giudiziaria, se perciò non distingue né il soggetto esperiente né l’oggetto esperito, egli non giusdice, non percepisce né dichiara il diritto, è improduttivo di giurisdizione.

Non è giudice.

Sebbene lo rivendichi (sempre da Formigli: “ sono stato più giudice che pubblico ministero”).

Forse nel tempo e nella forma, non nella sostanza.

Anzitutto perché ideazione e visione, sue, sono immutabilmente accusatorie e condannatorie.

E tali non possono essere, ontodeontologicamente (che attiene a ciò che è e a ciò che deve essere), funzionalmente, quelle del giudice, il quale dovendo dichiarare tutto il diritto, anche quello difensivo e assolutorio, non può che collocarsi al di sopra delle sue opposte istanze, per poterne accertare e dichiarare le condizioni delle une e delle altre. E, perciò, il suo eloquio extraprocessuale (eventualmente mediatico) non può calcare né le une né le altre, affinché gli sia possibile processualmente calcare o le une o le altre.

Poi perchè, manifestamente, ideazione e visione, nel predetto, non sono atti solo mentali ma anche sentimentali (affettivi, passionali), lo pervadono lo invadono e lo muovono.

Con immancabile rientro biologico che mai avrebbe potuto permettergli di esser giudice senz’esser pubblico ministero.

3. Cio’ che peraltro mostra naturalisticamente, e teorizza, l’impossibilità di fare di un pubblico ministero un giudice, l’illusorietà (e la falsificazione della possibilità) di avere questo separando la funzione da quello.

E mostra per conseguenza la necessità della diversificazione culturale dei due (la cultura è parte fisica, modificabile ma non eliminabile, della funzione dell’organo). Diversificazione che non potrebbe neanche incamminarsi se non separando (anzitutto e almeno) “le carriere” dei due.

A riprova, il suddetto pare talmente assuefatto alla inversione della presunzione di incolpevolezza nel suo contrario ( che è la negazione della giurisdizione processuale penale), da esordire da Formigli dicendo:

“L’errore italiano è dire aspettiamo le sentenze”.

Cioè, senza nemmeno avvertire, e dichiarare, che il diritto penale italiano è tra quelli, non solo in Europa ma nel mondo, che meno “ aspetta( no) le sentenze”, per far seguire al mino accenno di accusa scomunicazione e relegazione dell’accusato. Per di più con la squallida ipocrisia di appellarla “custodia cautelare”.

4. Ma quel che è catastrofico:

la sua voce è ritenuta (dai massmedia) e non si preoccupa di apparire, quella della magistratura italiana…

pietro diaz

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DAVIGO DOCET, IN COREA DEL NORD…

Ha emesso da Formigli, avanti ieri sera:

“l’errore italiano è dire aspettiamo le sentenze”

Giusto, ha pensato Kim Jong –un, il despota nordcoreano.

E’ un errore che qui non commettiamo.

Di fatti, notizia di questa mattina, due coniugi “in quarantena”, che col figlioletto han tentato di passare il confine del Paese, arrestati dalla polizia di frontiera, ben prima di una sentenza che accertasse fatti e colpe, conformità al diritto penale locale, assenza di scusanti di attenuanti di quant’altro potesse evitarlo, legalmente, sono stati giustiziati sul posto.

Lo sarebbe stato anche il figlioletto, gli è stato risparmiato perchè minorenne.

pietrodiaz

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“SAVIANO”, DIFFAMATORE DEI COMMERCIALISTI ITALIANI… PROVI LA VERITA’ DI QUEL CHE HA DETTO…

In Cronaca:
“Durante la trasmissione di Rai Due “Che tempo che fa”, alla domanda del conduttore, che gli chiedeva, a proposito di usura, come fa la criminalità organizzata a trovare i propri “clienti”, lo scrittore ha risposto: «Semplicemente segue il percorso dei soldi. A un certo punto, quando un’azienda inizia ad andare in crisi, loro avvicinano i commercialisti. E il commercialista, cioè una persona di cui ti fidi, spesso ti dice “c’è quella società, c’è quella persona che è interessata”. Quando non è quella strada, perché hai la fortuna di avere dei professionisti seri, ci sono moltissime altre strade: le banche, il consulente che ti dice di andare in quel posto piuttosto che in un altro».
Ora (per cominciare) dato che:
1.non c’è logica nel (l’assunto che) la “criminalità organizzata segu(a) il percorso dei soldi”, poiché mancanti per definizione nell’”azienda in crisi”;
-non c’è grammatica nel rapporto tra il soggetto singolare “criminalità organizzata”, ed il pronome plurale “loro”;
-non c’è logica nel seguire i soldi e nell’avvicinare i commercialisti che ti dicono “c’è quella società, c’è quella persona che è interessata”: o segui i soldi o segui i commercialisti;
-non c’è logica nel commercialista a disposizione della criminalità organizzata e nel medesimo: “ cioè una persona di cui ti fidi” o “perché hai la fortuna di avere dei professionisti seri” (giudizi apparentemente assoluti, non relativi..!);
-non c’è logica nell’informazione, dal commercialista all’usuraio, “c’è quella società, c’è quella persona che è interessata”, perché:
a) all’”azienda …in crisi”, quale usuraio farebbe un prestito irrestituibile ( e per giunta penalmente vietato due volte: dalla legge antiusura e da quella prefallimentare)? un prestito irrecuperabile in ogni modo, sia perché inassistito dalla legge civile, sia perché vulnerato dalla legge penale; b) un prestito irrecuperabile anche sotto specie di acquisizione della azienda, poiché anche essa è inibita da quelle leggi; c) e (non c’è logica inoltre ) nel commercialista, che bene conscio di quelle leggi, mai ne darebbe informazione (professionale) scorretta; tanto meno alla “criminalità organizzata”, che verosimilmente non risponderebbe sottilizzando….; d) e (non c’è logica infine) perché, tutto ciò, dovrebbe essere noto all’esperto di Gomorre, che non dovrebbe tacerne…
1.1 e non c’e logica, per le suesposte ragioni giuridiche , per (“altre strade” del) le “ banche”. Poiché mai queste finanzierebbero “aziende in crisi”, nella certezza della irrecuperabilità del credito ( gestito, oltre tutto, con denaro non proprio ); 1.2 e, infine, di quale “consulente” (apparentemente non commercialista), parla ( a Fazio ed ai suoi telespettatori, tuttavia verosimilmente creduli, poiché ignari)? Ed in “qu(ale) posto piuttosto che in un altro» il ”consulente” direbbe di andare.….?
Quindi
2. Come si vede, non potrebbe essere più scomposta e decomposta la propalazione di Saviano – e di chi lo ospita, che, anzi, gli ha chiesto di farlo, ha lasciato che lo facesse, ha partecipato al farsi di un’insinuazione ( assurda ma anche) trucemente antisociale, perché aggressiva di un Ordine professionale apportativo e manutentivo del Diritto della economia pubblica e privata (generale e particolare), costitutivo della sua innervatura giuridica…!.
ORBENE
3. Come è che il “parlare a braccio” di Saviano non corrisponde a suoi parlari scritti? Per esempio al seguente, autoritario ieratico oracolare fatidico (pur se, forse, mitomanico), stante in Gomorra (qui ripreso da citazione altrui)?
«Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le ecomafie e dove prendono l’odore. L’odore dell’affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d’economia si dileguano mutando i loro frattali in materia, cose, ferro, tempo e contratti. Io so…..Io vedo…..Io so e ho le prove….. » 3.1 Ma perché, a quanto pare, egli, quel che scrive (per lo più) lo copia.
E non solo nella lettera, ma anche nell’ispirazione, nella fonte.
Stavolta, ad esempio, parassitando lussuosamente, nel gesto poietico si è messo con PP Pasolini. E ci si è sentito….:
“Cos’è questo golpe? Io so Io so.Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).Io so i nomi dei responsabili della strage……Io so i nomi dei responsabili delle stragi…..Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi……sia i neo… autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione……Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia…..sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità….”
3.1.1 Omofonico no? E chiaramente genetico…
3.2 D’altronde, si narra che non via sia sua opera di rilievo (da Gomorra a ZeroZeroZero a La paranza dei bambini) che non sia stata processata (e condannata?), per plagio.Plagio di libri o di articoli giornalistici.Plagio integrale, testuale, ideativo, logico, funzionale.
3.3 O, alternativamente, trascrizione indefessa, da scriba, di verbali di polizie o di magistrature, narrativi ed espostivi di vicende di crasse infrumanità. La sua passione, la sua professione quale oggetto di “studio” ( e, forse per assimilazione, la causa della sua condizione morale, intellettuale, letteraria).
3.4 Enumerando spiccioli, basti ricordare che, quando si gettò d’impeto ad epitetare malamente Salvini ministro dell’Interno, appropriandosi di antecedenti sul ministro Giolitti, lo appellò “ministro della malavita”. Salvo poi (pavidamente) correggersi, sotto querela (minacciata o data?): “ministro della mala vita”; ripetuto ad ogni occasione perché rimangiasse il precedente (convinto che la scissione variasse di molto l’offesa…).
3.5 E, scomparso (l’illustre e industre) Giorgio Bocca, osò succedergli alla redazione settimanale della rubrica l’Antitaliano, evidentemente insensibile anche al prefisso.
4. Ebbene, che cosa accadrebbe se, tanto gravame incombente sul corpo sociale, fosse trattato (nemesicamente) con gli strumenti (criteriologicamente) prediletti dal gravante, la legge penale?Questa prevede che, portato a giudizio (ordinario o davanti un Giurì d’onore: art. 596 cp) il diffamatore, datagli (o presasi) facoltà di prova della verità dell’attribuzione, ove essa riesca egli consegua impunità.Prova, si intende (meticolosa) di : quali “criminali organizzati” abbiano avvicinato i commercialisti; quali commercialisti siano stati da essi avvicinati; quali dei primi abbiano indicato “aziende… in crisi”; quali “aziende …in crisi” siano state da essi indicate; . quali d’essi abbiano rifiutato di dare informazioni sulle anzidette; quali banche siano state avvicinate dai “criminali organizzati” e da chi di questi; quali “consulenti” siano stati da questi avvicinati e quali “posti” siano stati da essi indicati;
Il tutto, ovviamente, con prova (accessoria) circostanziata, da modi tempi luoghi ( eventuali presenze) di ognuno dei fatti predetti.
5. Orbene, il fallimento della prova, o il rifiuto di darla, non avrebbero un valore purificatorio, per gli aggregati sociali che annoverino la presenza del suddetto?
pietro diaz

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CECCANTI E’ “CCEGADO” ?


UN  PAESE AFFETTO DA  DIPICIEMISMO,  E STRESSATO DAI RIMEDI AD ESSO: LA “PARLAMENTARIZZAZIONE” AD ESEMPIO…,

1.  Il  rimedio lo elucubra  l’esponente di un partito governativo, il costituzionalista Ceccanti,  che,   cominciando a ruminare,  già dal dì  28 aprile 2020, che “Niente impedisce al Parlamento di trovare una soluzione per conciliare libertà di culto e tutela della salute”;  lamentando l’eccesso dei dpcm (emessi dal vertice  di un governo formato dal suo partito..!), sbozzato un primo “emendamento” :

 “art 2 Al comma 1, dopo il secondo periodo è inserito il seguente:
“Gli schemi di decreto di cui al presente comma sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano nel termine di sette giorni, decorso il quale il decreto può essere comunque adottato”;

sbuca infine nel definitivo:

 «Il Presidente del Consiglio o un ministro da lui delegato illustra preventivamente alle Camere il contenuto dei provvedimenti da adottare, al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi (sic) dalle stesse formulati, ove ciò non sia possibile, per (ragioni di urgenza connesse alla natura delle misure da adottare), riferisce alle Camere ai sensi del comma 5, secondo periodo».

1.1 E dandone spiegazione informale ad alcuni colleghi:

“Ho predisposto un emendamento al decreto 19 che va in Aula giovedì per parlamentarizzare (sic)  i Dpcm.
Si tratta di una fonte (sic) che nel corso dell’emergenza ha finito per avere un rilievo sconosciuto in precedenza.
Entrando in una nuova fase appare opportuno regolarli  in modo diverso (sic): ferma la responsabilità piena del Governo sulla sua (sic) emanazione (sic), appare però opportuno introdurre un parere preventivo del Parlamento, obbligatorio anche se non vincolante, con un tempo certo di una settimana. In tal modo alcune criticità (sic) potrebbero essere prevenute dal Parlamento, senza che esso debba essere costretto ad intervenire ex post su (sic) altre fonti (sic). Una tecnica che in questo periodo ha consentito di risolvere alcune questioni (ndr quali?), ma che ha finito fatalmente per rendere molto più complesso e difficilmente comprensibile il sistema delle fonti (sic).
Il decreto 19, che era nato appunto, per riportare ordine nel sistema, darebbe così anche una soluzione stabile e ragionevole “ (sic) [ ndr: qui necessariamente si tralascia il commento di parole mezze frasi paralogismi paragiurismi paraconcettualismi …  (quelli contrassegnati). Se si avrà tempo e voglia lo si farà un’altra volta..].

E manco a dirlo: 

1.2 “Via libera dell’Aula della Camera all’emendamento del Pd, riformulato su proposta del governo, che dispone la parlamentarizzazione dei dpcm. I voti favorevoli sono stati 260, i voti contrari 211 e 9 astenuti!”

E per di più

“Insoddisfatti parlamentari di Fdi che invece chiedevano che il parere del parlamento fosse vincolante (sic) : così “Lollobrigida”… .

Or bene, i dpcm

2. Se li si va a cercare tra le fonti del diritto (art 1 Preleggi”): non li si trova.

Se li si va a cercare nella decretazione governativa avente forza di legge (decreti legislativi, decreti legge), o “forza” di  regolamento; o nella decretazione ministeriale o interministeriale avente quest’ultima forza (artt. 14 ss L. n. 400 1988), non li  si trova.
Si trovano vaghi “decreti” del presidente del Consiglio,  di ordinaria o di “alta” (talune nomine dirigenziali) amministrazione: dunque provvedimenti strettamente amministrativi.

Se li si va a  cercare nella  Costituzione, lì dove questa assegna al Governo capacità normative (artt. 76.ss,   92 ss), non li si trova (tanto che, vd sub 2, taluno ha cautamente ritenuto che,  essi,  abbiano “fonte” in  deleghe -a pcm- da decreti legge).  

Mentre si trovano,  per contro, nella dipieciemiade (plenipotenziaria) Conte (e per il, vero, ben deflatti,  in antecedenti prassi , che, anche per trarre spunto  nomativo dai vaghi “decreti” della legge 400,  non possono che mutuarne la sostanza, di atti amministrativi (seppure, perché generalizzanti, normativizzati, come ha “insinuato” un avvocato dello Stato).

Orbene, immaginiamoli “parlamentarizzati” (Ceccanti, sopra).

3. L’accesso del parlamento  (con l’emissione obbligatoria di  parere….) ai dpcm (atti amministrativi) non dà a questi un che di legislativo?

E arduo non  rispondere  affermativamente. Giacchè: 

4. un organo  legislativo che integri (con parere obbligatorio) un atto amministrativo non potrebbe non trasmettergli qualcosa di sé: attore (anche parziale) e atto mescolano (anche solo in parte) le rispettive nature.

Ma il mescolamento, del legislativo nell’amministrativo (e viceversa), poiché concerne attività di organi  costituzionali  (parlamento e presidente del consiglio dei ministri) è  possibile solo  se costituzionalmente previsto.

Sia perchè attribuirebbe al parlamento una (nuova) funzione normativa (bisognosa di previsione tanto quanto la funzione non legislativa del parlamento: artt. 69, 70, 76, 90, 97 etc..).

Sia perché, forse anzitutto,  darebbe immunità,  da giurisdizione ordinaria o amministrativa  (artt. 24, 28, 103, 113 Cost.) a dpcm  (eventualmente) lesivi di interessi legittimi o diritti, e dannosi (o minacciosi di danno).

Ebbene:

oltre la contaminazione delle  nature delle due attività, ha voluto anche tale conseguenza il costituzionalista, che illustrando l’emendamento ha proferito (vd sopra) : “ferma la responsabilità piena del Governo sulla sua (del dpcm) emanazione….”?

4.1Tutto ciò non mostra l’inconciliabilità al sistema giuridico della “parlamentarizzazione”  degli atti amministrativi?

pietro diaz

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