Linkiesta, 4 Giugno 2020.IL PROBLEMA DEGLI STATI UNITI E’ L’INCARCERAZIONE DI MASSA

Ferdinando Cotogno

Il delitto di Minneapolis ha fatto riemergere tutti i difetti del sistema: in America si arresta un cittadino ogni tre secondi. Quasi 5 milioni di americani sono stati in prigione, molti dei quali per delle infrazioni lievi. E gli afroamericani finiscono in galera a un tasso cinque volte superiore a quello dei bianchi

Non c’è modo di capire l’ultima settimana di storia americana senza vedere cosa succede dall’altro capo dell’arresto e della morte di George Floyd a Minneapolis. Da un lato della vicenda quattro poliziotti arrestano e ammanettano un cittadino sulla parola dei commessi di un negozio, che lo accusano di aver pagato le sigarette con venti dollari contraffatti.

Dall’altro c’è il sistema di incarcerazione di massa, nel quale si può entrare anche per colpe anche più lievi di una (presunta) banconota falsa e che fa degli Stati Uniti la nazione con più detenuti al mondo.

Sono 2,3 milioni le persone attualmente dietro le sbarre, sparsi tra oltre 7mila carceri statali, federali e locali: un tasso di 698 detenuti su 100mila abitanti. Secondo i dati di Prison Policy, uno dei tanti progetti di riforma del sistema carcerario, mezzo milione sono in attesa di giudizio.

Spesso non hanno i soldi per aspettare la sentenza da persone libere, perché la cauzione costa in media 10mila dollari, o otto mesi di stipendio. I numeri del problema diventano ancora più imponenti se guardiamo quanti cittadini ogni anno vengono arrestati dalla polizia: secondo gli ultimi dati aggregati dall’FBI sono 10,3 milioni, un tasso di 3,152.6 per 100,000 abitanti.

Parliamo di un ingresso nel sistema penale ogni tre secondi, la maggior parte dei quali non porterà a nessuna incriminazione e nessun processo. I numeri hanno una scala da pandemia: quasi 5 milioni di americani sono stati in prigione, 77 milioni hanno un «criminal record». Poco meno di uno su due (113 milioni) ha un parente diretto che è stato in carcere a un certo punto della sua vita.

È come se ormai essere arrestati facesse parte dell’esperienza americana, soprattutto per minoranze e poveri. Non è sempre stato così: dalla fine della Guerra civile nel 1865 alla war on crime di Lyndon B. Johnson 184mila persone erano state in prigione.

Da lì alla guerra alla droga di Reagan sono raddoppiati e la corsa non si è più fermata. Il dato attuale vuol dire un aumento del 943% in mezzo secolo. Come è successo, visto che i crimini violenti sono calati del 51% dagli anni ’90 a oggi?

È quello che Alexandra Natapoff nel suo libro Punishment Without Crime (Castigo senza delitto) ha definito «massive misdemeanor system», l’impostazione punitiva che da anni nutre l’apparato penale.

Quella dei misdemeanor è la vasta categoria delle infrazioni lievi per le quali un poliziotto può ammanettarti in America: attraversare fuori dalle strisce, stare seduto sul marciapiede, guidare senza cintura di sicurezza o con uno stop rotto, bere quando non hai l’età legale per farlo.

Lo spettro di quello che è considerato punibile negli Stati Uniti è una rete da pesca a strascico lanciata ogni giorno sulle città. Nel suo libro, Natapoff calcola che l’80% degli arresti a livello nazionale è per un’infrazione di questo livello, un’aneddotica di cui la stampa locale è piena: bambini arrestati a scuola perché iperattivi, sceriffi che organizzano retate di adolescenti accusati di avere una birra.

Questa impostazione porta devastazione nella vita delle persone, può far perdere il lavoro, la casa, le borse di studio, l’affidamento dei figli, minare la salute fisica e mentale, e soprattutto crea un numero spropositato di interazioni pericolose e non necessarie tra le forze dell’ordine e i cittadini.”

COMMENTO

Se il nulla, dell’infrazione, può suscitare il tutto, in reazione, è evidente che, per l’istituzione reattiva, polizia e magistratura, nulla è l’infrattore.

Questo rapporto tra il nulla, dell’infrazione e dell’infrattore, ed il tutto dell’ istituzione reattiva, cosi impari, diseguale, inversamente proporzionale, mostra che il passaggio, storico, dalla giustizia privata (vendetta, faida, a relazione proporzionale dei termini, talioniche ) alla giustizia pubblica (statale) non è stato affatto evolutivo, malgrado le attese.

E mostra che l’autore di giustizia pubblica a moderazione per sostituzione della giustizia privata, avendo tolto ogni proporzione alla reattività propria, è divenuto giustiziere a sua volta.

Ha privatizzato la giustizia pubblica e, monopolizzandola, si è sovranisticamente assolutizzato.

E molto più dell’autore di giustizia privata si è disumanizzato. Poiché non proporzionandosi all’avverso in quanto umano, lo ha cosificato, reificato; e “mediato”, trasformato nel mezzo della ostensione del proprio potere sociopolitico. Che è gratificato quando sovrasti fino all’annientamento.

Così che, se si cercasse quale potere sia più nemico al popolo ( del quale comunque, l’infrattore è parte inscindibile! ) non potrebbe dubitarsi che lo sia il suesposto, che non ve ne sia altro più nemico.

E che , quindi, l’azione politica che muovesse alla (democratizzazione come) depoterizzazione di quanto sovrasti il popolo, anzitutto ad esso dovrebbe guardare, anche perché essenza di altri poteri insediati nelle istituzioni sopra il popolo.

Ma la nullità dell’infrazione nullificante l’infrattore segnala che, l’infrazione, non è altro che disobbedienza.

L’infrattore ha mancato di obbedire, non importa il valore sociale del non obbedito, importa che egli non abbia obbedito, che sia stato disobbediente.

E quando la sola disobbedienza è un crimine (ritorna ad esserlo malgrado l’evoluzione storica della cultura penale, che alla disobbedienza al comando aggiunse la commissione di un Fatto sociopoliticamente rilevante), il disobbedito è maesta sovrana, la disobbedienza maestà lesa.

L’autoritarismo giuspolitico non potrebbe essere maggiore…

pietro diaz

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