TRAVAGLIO A GAIA TORTORA….E AL PAESE…,

propalando da “giornalista…”, da facente “giornalismo”: formazione mediante informazione della civiltà (anche) giuridica …: :

“…non c’è nulla di scandaloso se un presunto innocente finisce in carcere…”.

Ha inteso dire:

poichè la “presunzione di innocenza” attiene a chiunque, è data (dalla Costituzione) a chiunque, è necessariamente il “presunto innocente” che “finisce in carcere” (quando questo operasse)? Non potrebbe che esser lui?

Ma se così fosse (occorre andar cauti nell’interpretazione della parola del suddetto, tendenziosa se non mistificatoria, passionale se non fanatica, istintuale prima che razionale, per di più inspiegabilmente supponente):

la “presunzione di innocenza”, come il suddetto ne dice (in realtà di “non colpevolezza” almeno secondo l’art 27 cost.: ma la confusione semantica mostra che egli non ne coglie le differenze, sebbene estese), sarebbe formula soltanto denominatoria di ogni accusato, ininfluente al trattamento della sua condizione, a quello, in specie, riguardante l’incarcerazione.

Ciò che, se rispecchia lo stato mentale del suddetto in tema, ed anzi bene asseconda la sua aspirazione alla società penitenziaria, al contrario comanda di distinguere fra innocente e colpevole, di attuare accertamento della colpevolezza che superi la “presunzione di innocenza”.

Altrimenti la formula (ma il suddetto lo anela), non solo equivarrebbe all’inversa, la “presunzione di colpevolezza” (che il suddetto di fatti ha proposto, s.e.), ma sarebbe sopraffatta da questa, quante volte l’accertamento della colpevolezza non la superasse.
E anzi, da essa sarebbe indotto ( se non vincolato) a non superarla.

Quelle volte, d’altronde, innumerabili, hanno generato prassi che hanno istituito tacitamente la presunzione inversa.
Conformemente agli auspici e agli sforzi “giornalistici” del suddetto.

Laddove essa nacque e fu posta quale regola del giudizio (probatorio).
Del giudizio accertativo del suo contrario, la colpevolezza, ad ogni contatto processuale (iniziale medio e finale) fra accusatore e accusato. Contatti peraltro appositamente sorvegliati dal giudice, vigilato a sua volta dal difensore, affinchè applicasse la “presunzione di non colpevolezza” quando fosse disapplicata dall’accusatore.
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A parte la questione se la “presunzione di innocenza” permetta la incarcerazione preventiva dell’accusato prima della condanna. Dato che essa è in tutto parificabile alla incarcerazione finale punitiva. Che essa è punitiva. E che , la “punizione”, presuppone condanna definitiva (art. 27.2 cost.).

Questione peraltro intuita dal legislatore processuale del 1988, che perciò presentò l’incarcerazione come extrema ratio, come misura da applicare quando ogni altra non fosse adeguata allo scopo.

Misura estrema, quindi, sebbene tale qualità sia poi stata erosa da legislazioni speciali imponenti il carcere alla prima accusa (qualcuna significativamente intitolata a proponenti dal mestiere, pregresso, di Soubrette!).

E sia stata comunque frantumata e dispersa dalle prassi incarceratorie del Paese, paurosamente dilaganti.
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Ha detto Gaia Tortora:

mio padre è stato vittima di mala giustizia e di malogiornalismo.
Ebbene, di questa seconda Forza della narrazione sociale, possente già negli anni del martirio di Enzo Tortora,

Travaglio può vantare di averne ossessivamente cercato la vittoria.

pietro diaz

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