…“concussione”, “prostituzione”, “giudizio immediato”, per la magistratura…


Il “giudizio immediato” circola, nel codice processuale, insieme al “giudizio direttissimo”, sulla variante al tracciato che porta la “azione penale” (l’unica, tra le “azioni” istituzionali, che umilii l’accusato davanti la opinione pubblica prima di una condanna, e, dopo, ne incarceri gli avanzi dalle antecipazioni “cautelari”, per esclusiva mano del “pubblico ministero”, autocrate dunque, sovraneggiante su moltitudini), al giudizio di un giudice, in “udienza preliminare”, di fronte la difesa (a “riparare”, prima che sia troppo tardi, l’accusato in pezzi) ;
giudizio, sulla “azione penale”, mai visto prima, nella storia dell’Italia unita (e inunita), sorprendente scatto d’orgoglio della “giurisdizione”, sul “giudiziario”, innescato dalla volontà parlamentare, a dispetto, mai tollerato, del “pubblico ministero” (nel codice neonato, quello della “procura presso il tribunale”, non della “procura presso la pretura”, esonerato, da quel giudizio e, per ciò, non avente facoltà l’ “immediato”, perché non troppo “malefico”; poi, egli sarà destituito, insieme al pretore, perché non abbastanza “malefici”, dal primo, e dal suo tribunale, continuando a godere dell’esonero pur gerendo ben più gravi maleficii) ;
dunque, nel codice, la variante verso l’ “immediato” (solo per ciò tale, il giudizio, cioè, non “mediato” da pre-giudizio, sulla azione che lo spinga) ha estraordinarie condizioni :
che sia “prova” “evidente”, del reato e del reo; che sia stato compiuto, o tentato, l’interrogatorio, dell’accusato, sui fatti che la integrerebbero, per contraddire ad essi; che non siano decorsi novanta giorni dalla formulazione dell’accusa (a riprova, temporale, della superfluità di più lunghe “indagini preliminari”);

e, nel “giudizio direttissimo”, che sia flagranza (oppure “confessione”), del reato e del reo…

“prova evidente” è più che “fonte di prova” (ciò che prelude la prova), nel dizionario (che raccoglie entrambe) dei mezzi cognitivi delle “indagini preliminari”:

poichè “prova”, forma un sapere verificativo di una congettura…

poichè “evidente”, lo forma pianamente, palesemente;

“flagranza”, è lo “stato” fenomenico, del reato e del reo, sensorialmente (senza riflessione razionale, cioè) apprendibile, “documentalmente” formativo di un sapere (subito) assertivo;

per ciò, “prova evidente” e “flagranza”, riconoscibili subitaneamente, surrogano il giudizio sulla azione penale, poichè a priori la “garantiscono”…

dunque, solo la “azione penale” che abbia quei presupposti potrebbe sottrarsi al giudizio preliminare, nessun’altra….

per ciò, contro esso, sale presto, dal “pubblico ministero”, il primo attacco, alla “prova evidente”:

l’aggettivo è sciolto, semanticamente, nel sostantivo, affinché, questo, non designi altro che la prova qualunque, per qualunque mezzo (testimoniale o documentale), per qualunque grado (diretta, sul reato o sul reo, indiretta, su un fatto che porti ad essi),

finanche per la “fonte di prova” (corrispondentemente è sciolta in centottanta giorni la durata delle “indagini preliminari”, sia pure “solo” quando l’accusato sia “in custodia cautelare”, quasi sempre, cioè, in cerca d’essa…);

attacco simmetrico e sincronico ad altro, alla prova “flagrante”, autoapparente, confusa in quella testimoniale o altrimenti indiretta (benché eteroapparenti), e ciò malgrado conducente l’accusato a “giudizio direttissimo”…

attacco presto seguito dal secondo, al requisito, per il “giudizio immediato”, dell’interrogatorio (compiuto o tentato), dell’accusato, sui fatti integranti la “prova evidente”, confuso a qualunque interrogatorio, compiuto o tentato (finanche l’ “interrogatorio di garanzia”, per l’accusato ferito nella sfera personale, che voglia disputare di ciò), perfino antecedente l’avvento di quei fatti, dunque incontraddicibili con esso;

attacco presto seguito dal terzo, sistemico, la acquisizione (non disagevole invero…) della malleveria dei giudici (anzitutti del “gip”, “giudice” “per”, non “del”, “le indagini preliminari”: a funzione non dissimile, dunque, da quella del “pubblico ministero, pseudogiudice, già organicamente, peraltro, dall’ “ufficio per le indagini preliminari”, propenso alla malleveria), per la abolizione del giudizio sulla azione penale, per la conquista della ingiudicabilità d’essa;

e così:

benche sia giuridicamente indubitabile che, prova evidente e contraddittorio su essa, siano requisiti della azione penale senza giudizio preliminare:

che, quando manchino, sia dalla legge disposta nullità della azione penale, ex art. 178.1.b) c) cpp:

…b) perchè è nulla la azione che eluda quel giudizio in assenza dei requisiti;

…c) perchè è nulla la azione che eluda l’attesa, dall’accusato, di quel giudizio;

e che, con ciò, gli impedisca di contraddire (preliminarmente) ad essa ( benché già leda propri diritti costituzionali, all’integrità personale e patrimoniale, innocenza);

glielo impedisca, per giunta, spingendolo a precipitose scelte, di “giudizi alternativi” all’ “immediato”, l’ “abbreviato” (interamente “ipotecato” dalle prove di accusa), il “patteggiamento” (che condanna a vita senza processo…),

“giudizi”, oramai platealmente, “consigliati”, all’accusato, da spaventosi incrementi penali, non solo “edittali” (anche “giudiziari”: fin dodici anni di reclusione per alcune “palpazioni sessuali”, di alcune sentenze, garantite dalla denuncia di un fanciullo..), nei più vari “reati”, opportunamente “dissuadenti” dal processo che non prometta “saldi” con “sconti” di un terzo… (pur se li mantenga solo “contabilmente”, “prededucendoli”, slealmente, nella quantificazione della “pena base”…);

giudizi spudoratamente inquisitori, “alternativi” finanche a sé stessi (nel “patteggiamento”, dove manca addirittura formalmente, nell’ “abbreviato”, dove potrebbe darsi solo formalmente), trascriventi rese senza condizioni, dell’accusato, alla menomazione permanente della sua integrità personale, pur se vietate perfino dal “diritto civile” (art. 5)…

benchè sia giuridicamente indubitabile tutto ciò (dicevasi):

quando l’accusato, lo eccepisse, davanti al “gip”, o al “giudice immediato”, o al “giudice abbreviato”, non avrebbe risposta diversa da quella preparata dal primo e dal secondo attacco, quale frutto puntuale del terzo:

“prova” sempre e comunque “evidente”, interrogatorio sempre e comunque fatto o tentato ( tutto sempre e comunque “a posto”);

e se impugnasse, l’accusato, quella risposta, in Appello o in Cassazione (se insistesse a difendersi “nel”, in vece che “dal”, processo: ignorando o incurando che, questo, ha da tempo incastonato il proprio esito nel proprio’esordio, e gli uffici del primo (i suddetti), in quello (il “pubblico ministero”) del secondo:

per l’Appello, la impugnazione sarebbe “rigettata”, per la Cassazione sarebbe “inammissibile”: secondo il “costume”, straripante, del rifiuto a priori, del “giudizio di legittimità”, della omissione ostentata dell’atto relativo, secondo “autocassazione”, della “Suprema Corte” (eccetto che nella propria, gratificante, “burocrazia”);

ma quale sarebbe l’oggetto della prova evidente nel processo a Berlusconi?

il reato di “concussione” (per iniziare, dichiara oggi anche un “gip”, dopo il “pm”) …

che, tuttavia, sarebbe evidente solo per le mutilazioni infertegli, dalla magistratura intenta ad acconciarselo…

esso, nella legge (e nella prima giurisprudenza rispettosa d’essa, quella fascista “incredibilmente”), è composto:

da un agente pubblico (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) che, abusando del suo potere o della sua qualità, con ciò “intimorendo” (emanando “metus”), costringa o induca, taluno, a promettere o a dare, “denaro od altra utilità” (quanto, comunque, costui giuridicamente non dovrebbe);

dunque:

una “condotta”, di reato, complessa, ove costrizione od induzione ne sono (solo) parte, ove l’uso oltre il limite giuridico, l’abuso, del potere o della qualità, ne è altra parte, e, ad un tempo, parte della precedente (connotandosi vicendevolmente), ove, costrizione ed induzione, sono, dunque, dopo condotte (anzi parti della “condotta”), eventi, esse stesse (dell’abuso del potere o della qualità), a loro volta, causativi d’altro, dell’”evento”, di “concussione” (di taluno), a sua volta ancora, condotta esso stesso, del concusso, che prometta o che dia, denaro od altra utilità (evento-condotta, dunque, la “concussione”, simmetrico alla condotta-evento, della “costrizione” od “induzione”); condotta, del concusso, inoltre, a forma variante (giacchè “eterogena”, se evento della costrizione, “autogena”, se evento della induzione)…

tutti “elementi del reato”, quelli or visti, posti anche a limite del potere di accusa e di condanna, cioè di offesa (personale patrimoniale sociale), dell’accusato o del condannato, del quale le istituzioni politiche del passato godettero incondizionatamente, prima dell’avvento della legge penale (quella “popolare”, del ceto, storico, dell’accusato e del condannato, della controistituzione “parlamentare”), sorta appunto a contenerlo….
ebbene, nella “giurisprudenza” odierna la complessità della concussione è stata ridotta alla “rubrica”, basta che un agente pubblico (peraltro è dubitabile che sia pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio chi, come l’accusato milanese, sia incarnato in un organo anzitutto “politico”, poi “amministrativo”, dubitabile che non lo sia solo quando esplichi funzione o servizio amministrativo, ex artt. 357, 359 cp) “contatti” qualcuno per avere qualcosa (che giuridicamente non potrebbe avere) perchè si abbia “concussione”, benche nulla, se non quel contatto, tra essi, sia stato (della “fattispecie legale”);
tanto che, il decreto del gip milanese che ha disposto l’ “immediato”, accredita l’imputazione che indugia ad aggettivare il comportamento dell’accusato come “indebito”, ad evocare elementi (c.d. di “antigiuridicità speciale extrapenale” ), del tutto estranei alla “fattispecie” (che ha già i suoi, penali ed extrapenali, nell’abuso del potere o della qualità), con ciò non preoccupandosi di nascondere imperizia giuridica…
e così, è integrato per via “interpretativa”, il codice, con parareati, con sagome di altri reati, secondo la strategia, giudiziaria, del raddoppio della estensione del “penale”, di quella del potere di accusa e di condanna, di offesa (finale) dell’accusato o del condannato;
per di più, nel caso della concussione del processo milanese, non si comprende che cosa sarebbe stato promesso o dato, dal “concusso”, che, essendo egli agente pubblico, promettendo o dando quanto giuridicamente non avrebbe potuto, al “concutente”, non sia reato (al meno di abuso d’ufficio ex art. 323 cp);
e, per ciò, non si comprende perché non sia stato, il “concusso”, avviato a processo, pur se per assolverlo, quando avesse commesso, il reato, per costrizione o per induzione (artt. 46, 48 cp), del “concussore”;
come non si comprende perché, dato quel reato, di abuso d’ufficio, e l’ovvio concorso di chi avesse costretto o indotto (artt. citt.), a commetterlo, costui non sia stato processato per esso, in vece che per concussione;
mentre si comprende come, da ciò, possa venire l’idea che, la concussione, provvidenzialmente dissolvendo la reità, per abuso di ufficio, del “concusso”, riproponga la dissoluzione della corruzione del corruttore (art. 321 cp), nell’ormai “plurisecolare” scambio, simoniaco, con l’inquirente ( delazione per impunità), mediante il trucco del processo al corrotto, non per corruzione (“passiva”: artt. 318, 319 cp) ma per “concussione”;
talchè di due autori di reato di corruzione, entrambi parimenti punibili, l’uno cessa di esserlo quale simulato concusso, l’altro continua ad esserlo quale simulato concussore ( ma ad esserlo tre volte tanto: da quattro a dodici anni di reclusione, nella indifferenza perfetta del simulatore, il “pubblico ministero”, come del “giudice”, pur detto “bouche de la lois”);
orbene, tutta la realtà della concussione, fattuale e giuridica, sopra (appena) intravista, era evidente, nella “prova” della magistratura milanese? o, inevidente (perfino sul punto dell’abuso del potere o della qualità…), e, anzi, (a sua volta), inevidenziatrice, dissimulatrice, della simulazione giuridica?
altrettanto per il reato di “atti sessuali” col prostituto minorenne:
che non è chi, abitualmente (la prostituzione, d’altronde, è abituale tanto quanto le, e per le, condotte di induzione favoreggiamento sfruttamento…, e altre, di cui sia oggetto) ceda, il suo corpo, o, abitualmente, riceva denaro od altra utlità, ma chi venda, il suo corpo, per denaro od altra utilità…
e, chi, tal “commercio”, abbia ben davanti la sua volontà e la sua mente, tanto quanto deve averlo la volontà e la mente del “pagante”, giacchè se quello ricevesse quanto questo desse non pagando ma ripagando, grato o riconoscente o prodigo, o per debito morale o per vanto, non comunque per quel “commercio”, come quello non sarebbe prostituto, questo non ne sarebbe prostitutore (insomma, nulla, sarebbe, della incredibile “fattispecie morale”, che, invero, solo la ipocrisia berlusconiana avrebbe potuto, non avrebbe potuto non, per mimetizzarsi, introdurre nell’ordinamento giuridico, dopo quattromila anni di storia della prostituzione, nella prima metà dei quali i prostitutori, ne erano consacrati)….
ebbene che cosa, della “fattispecie” (appena) intravista, era evidente, nella “prova” della magistratura milanese, inevidente essendo stato, perfino (nella ridda delle declinazioni orali o documentali), l’età di “Ruby”?
pietro diaz

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