SALVINI, Di PIETRO ED IL GIP DI SEA WATCH

La manutengoleria ( ciò che e chi da una mano al facinoroso) mediatica a prò del ministro dell’interno trova da tempo, in taluna specie di conduttori televisivi, turgida espressione.
Un esempio. l’otto luglio scorso su Rete Quattro, lo si e’ avuto con l’azzimato e (apparentemente) signorile Porro, che a prima vista non diresti tendenzioso oltre misura.
Lo spettacolo parte con le cacofonie (suoni sgradevoli) e cacologie (logiche malvage e insensate) – ovviamente in composizione rigorosamente fasciorazzista- del tracotante Salvini. 
Vabbeh.., si pazienta, ci si impone di ascoltare per dovere etico e politico di eventuale critica, si spera che al più presto finisca. 
D’altronde il giro di pensiero dell’oggetto precipuo (Salvini) della viscida propaganda del servile e complice conduttore e’ infinitamente più breve di quello dei suoni che lo esprimono; ad aspettare che finisca non ci si lede troppo. 
Ma uscito Salvini, si intravvede, nello spettacolo, una trama fieristica del suddetto più meditata e articolata. 
Dopo lui (apparentemente neutro) appare A. Di Pietro. 
Al quale, dopo preliminari moine, vaniloqui, astrazioni, il conduttore pone la questione (programmata) della ordinanza del gip di Agrigento- che non ha convalidato l’arresto del comandante di Sea Watch – e domanda se la condivida. 
Egli legge l’ordinanza – la quale, nitidamente, raffrontato l’ordine del ministro ( non la legge del ministro: il “decreto sicurezza bis”!)” di fermo in mare extraterritoriale di Sea Watch con le norme nazionali internazionali sovrannazionali, lo dice illegittimo e lo disapplica-. 
E pronto, sancito che essa ha violato la legge, che la legge o si cambia o si rispetta, che la legge che non piaccia può essere spedita alla Corte Costituzionale perché la cambi, emette, ispirato: 
io avrei convalidato l’arresto. 
Musica (attesa) per la propaganda ministeriale del conduttore che, simulatamente dubitativo, reitera: 
Lei lo avrebbe convalidato? 
E l’interrogato, che manifestamente non ha distinto tra una legge, non disapplicabile dal giudice, ed un atto amministrativo, invece disapplicabile. E che così confondendo è giunto a raffigurare che l’atto amministrativo, anziché la legge, possa essere portato alla Corte costituzionale per rispondere della sua eventuale illegittimità, lo rassicura condiscendente:
certo. 
Quindi i due si congratulano reciprocamene riconoscenti del successo della rappresentazione. Convinti di avere ben servito Salvini, anche perché ignari del fallimento (giuridico) della tragicommedia propagandistica.
E ovviamente ignari anche di ben altro: 
che “la prima repubblica” (nella quale l’indecenza politica di un Salvini non sarebbe stata neppure ipotizzabile), con il suo complesso e spesso sistema politico, niente meno, fu abbattuta da un attrezzo giudiziario quale il suesposto…
Pietro Diaz

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