SEA WATCH3 E IL POTERE O DOVERE DI RESISTENZA ANCHE VIOLENTA ALL’ATTO PUBBLICO INGIUSTO

1. Al collasso del potere fascista, fu introdotta una norma puntualmente antagonista del segno precipuo d’esso, l’autoritarismo del rapporto “Stato-Cittadino”. 
Col D. Lgs. Lgt n 288/1944 art. 4, fu data al secondo la facoltà di resistere (anche mediante violenza se necessaria: artt. 336, 337 cod pen) all’atto arbitrario del pubblico ufficiale (dell’incaricato di pubblico servizio o del pubblico impiegato) che avesse dato causa al fatto (delittuoso) eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni. 
Cioè fu data la facoltà di “us(are) violenza (o minaccia) per opporsi ad un pubblico ufficiale mentre compie un atto di ufficio…”, restando impuni”(vd in combinazione gli articoli indicati) 
Con norma manifestamente antifascista, univocamente implicante che la sua precedente assenza dal codice fu manifestamente fascista. Per assunto indiscutibile anche storiograficamente, giacchè il codice fascista (1930) appositamente aveva espunto dal codice “liberale” (1889) la norma corrispondente alla suddetta (allora in articoli 192, 199). E lo aveva fatto per marcare la svolta politica, su quel rapporto, in senso autoritario, verso la incondizionata sottomissione del Cittadino a (gli agenti de)llo Stato.
Quindi la norma del 1944 riconduceva il rapporto Stato-Cittadino al periodo “ liberale”, fecondato dall’antifascismo. Il quale inoltre volle introdurre altra norma coetanea, parimenti significativa: il D.L.L. n. 224/1944, che abolìsse la pena di morte (per le “i civili”, esclusi militari, e inoltre nazisti e fascisti: in seguito anch’ essi per varie vie immunizzati da essa). Anche questa pena era stata introdotta dal codice fascista a spregio- ancora una volta- del codice “ liberale” che l’aveva esclusa per tutto il Regno d’Italia.
1.1 In seguito tuttavia, una giurisprudenza ideologicamente ostile alla nuova norma sul rapporto Stato-cittadino, ha fatto acrobazie (che non si sta ad esporre, anche perché tecnicamente impresentabili) per contenerne al minimo la portata, riconducendo il rapporto allo stampo fascista, culturalmente irremovibile. 
E forse per ciò si è pensato di “richiamarla in servizio” recentemente (L. n. 94/2009), codificandola (cioè solennemente immettendola nel codice), all’art. 393 bis cp, col titolo ”Reazione legittima ad atti arbitrari del pubblico ufficiale”; a tenore della quale, come in passato ma stavolta per legge repubblicana, quando il pubblico ufficiale o altro agente pubblico abbia “dato causa al fatto (di resistenza oltraggio altro ndr) eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni…” non è punibile chi a lui reagisca anche mediante violenza se necessaria. 
1.1.1.Ma se ciò la ha rinverdita politicamente, anche per il contributo interpretativo datole da Corte Costituzionale nel 1998 (sent. n. 140), essa, tuttavia, è rimasta ben lungi dall’incidere effettivamente la cultura generale del Paese, mantenutasi autoritaristica sia nella sfera popolare che in quella elitaria, reciprocamente colludenti all’insudditamento del Cittadino allo Stato. Alla rifascistizzazione del rapporto. 
Manifestazioni e propagande della ideologia e della pratica relative, e dei loro primi attori, infestano e infettano la comunicazione pubblica.
1.2 Dunque la facoltà giuridica di resistere anche con la forza all’ingiustizia della istituzione politica è pienamente sancita nell’ordinamento giuridico. Lo attesta addirittura il codice più d’ogni altro autoritario e assoggettativo, quello penale, che incrimina la resistenza violenta (o minacciosa), ma la scrimina quando essa abbia reagito a quell’ingiustizia (vd sempre gli articoli sopra evocati).
2. Si è parlato di resistenza ad “atti” del potere pubblico che eccedano i limiti delle sue attribuzioni, non di resistenza a “leggi” d’esso.
Lo si è fatto perché nella vicenda Sea Watch 3 è in ballo la prima resistenza, non la seconda, contrariamente a quanto riportato nella comunicazione pubblica (pressoché totale) in tema. 
Giacchè, se è vero che una legge (scandalosamente privatizzata dall’uomo “politico” tra i meno civilizzati della storia della repubblica) ha fatto da sfondo alla drammatica interazione Ministro dell’Interno-Sea Watch per “motivi di ordine e di sicurezza pubblica”; o (non è ancora chiaro) per impedire “passaggio pregiudizievole” o “non inoffensivo” di una nave che trasporti persone per ragioni riconducibili a Convenzione UNCLOS-Montego Bay (la legge ha dato al ministro poteri esclusivi di regolazione del traffico navale – non militare o da guerra né in servizio governativo non commerciale- nel mare territoriale). 
Se è vero ciò, è stato tuttavia un “atto” del ministro dell’Interno, pubblico ufficiale nella circostanza, a determinarne i contenuti.
L’atto (amministrativo non legislativo!) col quale costui ha impedito alla nave civile (non militare) recante naufraghi soccorsi, di accedere al mare territoriale, e, lì acceduto, di attraccare alla banchina del porto (di Lampedusa).
2.1 Si sfiora soltanto la questione se, l’atto del Ministro dell’Interno, sostanzialmente inibitivo o punitivo del soccorso di naufraghi e della loro conduzione in porto sicuro, sia stato illegittimo per violazione di leggi nazionali internazionali soprannazionali, vigenti sul “territorio liquido” dello Stato (norme che il Ministro ha costretto, addirittura, ad una “inversione a U”: obbligo di soccorso-divieto di soccorso! soccorso- abbandono in mare! e cosi via..). Essa è subito risolvibile affermativamente, giacchè: 
Per art 98 Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (Unclos)-Montego Bay (1982): «Obbligo di prestare soccorso»: “1. Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera…: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto…. 2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea….” 
Per Convenzione Internazionale di Amburgo sulla Sar (ricerca e soccorso) (Punti 3.1 ss ): 
Il diritto internazionale impone agli stati di obbligare i comandanti delle navi che battono la propria bandiera nazionale a prestare assistenza a chiunque venga trovato in mare in pericolo di vita, di informare le autorità competenti, di fornire ai soggetti recuperati le prime cure e di trasferirli nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro. Inoltre: 
gli Stati membri dell’Imo (Organizzazione marittima internazionale)… fanno sì che i comandanti delle navi siano sollevati dagli obblighi di assistenza delle persone tratte in salvo, con una minima ulteriore deviazione, rispetto alla rotta prevista. e senza tener conto della nazionalità o della condizione giuridica di dette persone.
Per la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (Solas): 
Le autorità di uno Stato costiero competente sulla zona di intervento… le quali abbiano avuto notizia ….della presenza di persone in pericolo di vita nella zona di mare Sar di propria competenza, dovranno intervenire immediatamente. 
Per la individuazione del luogo di sbarco (Pos: porto sicuro) elaborata dal’Unhcr (Alto Commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati) con le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare: 
il Governo responsabile per la regione Sar in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro di sbarco o di assicurare che tale luogo venga fornito. 
Per art. 1158 cod. nav. “Il comandante di nave…che ometta di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’obbligo a norma del presente codice, è punito con la reclusione…”
2.2 E si soppesa la questione se l’atto del ministro dell’Interno sia stato illegittimo per violazione della “legge” da lui stesso datasi (D.L. 14 giu 2019 n. 53: ”decreto sicurezza bis”), a causa di eccesso dai limiti giuridici delle attribuzioni conferitegli. 
Attribuzioni certo non comprendenti la modificazione o la inversione dei precetti delle Carte internazionali. 
Ancor meno l’imposizione a Sea Watch dell’inadempimento dei suoi doveri funzionali di soccorso e sbarco dei naufraghi.
E ancor meno il (verosimile) cagionamento, con esso, di eventi delittuosi di “sequestro” degli occupanti di Sea Watch (art 605 cp), e di “tortura” d’essi (sottoposti, nel pieno potere materiale del ministro dell’Interno, a “trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”): art 613 bis c.p. (si nota incidentalmente che i due eventi- così detti di “ durata della condotta lesiva”- cagionati dall’arresto coatto del natante nel mare davanti Lampedusa, lo sarebbero stati anche dal viaggio, coatto, che il natante da quel punto avesse intrapreso “verso l’Olanda” o in altro luogo altrettanto remoto- secondo la sprezzante esortazione, e la bruciante irrisione, dell’autore di quell’atto-). 
2.2.1 Di fatti fosse, l’atto del ministro, sorto da “motivi di ordine e di sicurezza pubblica” o per impedire “passaggio pregiudizievole” o “ non inoffensivo” (questa finalità è stata ripetutamente sostenuta, su Tgcom24, da “un esperto” della materia, cui tuttavia sfuggiva che Sea Watch non “passava”, in transito ovviamente, per il mare territoriale, ma (proprio) lì andava, per starvi ed attraccare ad un suo porto!), ebbene: 
né quel motivo, né quel fine, davano, all’atto, il potere (scriminante) di cagionare i suddetti eventi. Incontrando, esso, il limite della proporzione del mezzo al fine (non si regola “il transito e la sosta” navali sequestrando o torturando il navigante). 
E comunque incontrando il limite della intangibilità della libertà dell’integrità della incolumità della dignità della umanità, del navigante. 
Atto del ministro, quindi, secondo la sua stessa legge promotore di ”ordine e di sicurezza pubblica”, che schizofrenicamente ha innescato disordine e insicurezza fra i soggetti che coinvolgeva, anzi ferita profonda della loro umanità. 
2.3 E’ opportuno rilevare che, essendo (verosimilmente) divenuto l’atto delittuoso, come suggerisce il precedente giudiziario della nave Diciotti, il quale, per fatto del tutto identico, ha addebitato sequestro di persona al ministro in parola (poi sottratto al processo dalla complicità degli associati al Governo della Repubblica): 
sia colui che lo ha formato, sia coloro che (in ogni modo) lo hanno eseguito, potrebbero avere messo quei delitti in concorso. Gli esecutori anche perché, essendo l’ordine del ministro manifestamente illegittimo, avrebbero dovuto disattenderlo per non risponderne (art 51 cp).
2.4 Orbene, in siffatta situazione, ove l’atto il suo autore i suoi esecutori agivano (illecitamente) per inibire l’adempimento del dovere di soccorso e di sbarco gravante Sea Watch ed il suo Comandante, questi era titolare del potere dovere, giuridici, di resistere ad esso opponendosi, ove necessario anche mediante violenza (vd sub 1.s prima parte dello scritto).
3. Violenza che peraltro – consistendo della produzione e trasmissione di energia materiale sulle persone (o sulle cose) sì da modificarne lo stato- mancò in ogni fase della vicenda (e certo non fu violenza nel senso visto, che è lo stesso dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale o di violenza ad esso ex artt 337. 336 cp, l’inosservanza giuridica -non materiale- dell’ordine del ministro). 
Ora
3.1 A stare alle cronache, è certo che Sea Watch ha disatteso il comando ministeriale di arresto nel mare extraterritoriale, il divieto ministeriale di accesso e sosta nel mare territoriale, il divieto di attracco alla banchina del porto di Lampedusa. 
Indubbiamente disattendendo, inoltre, la loro riproduzione ad opera della motovedetta della Guardia di Finanza, che la avrebbe compiuta solcando simbolicamente – in incessante andirivieni -lo specchio d’acqua via via approssimato dalla prua di Sea Watch. 
Disattendendola, ma senza violenza (potrebbe dirsi in “resistenza passiva”, che non è reato).
3.2 Ebbene, deliberato da Sea Watch, dopo lunga (penosa) sosta nel mare territoriale, l’approccio alla banchina del porto, in “lent(issim)o moto”e “in abbrivio” (solo imperfettamente governabile da chiunque, riferiscono gli esperti) di una massa galleggiante di seicento tonnellate…, indirizzata la prua verso la banchina con opportuna inclinazione, riservato il richiamo della poppa ad essa con ricorso ai motori, la motovedetta GdF, sfruttando la grande mobilità della sua ben inferiore stazza, si sarebbe interposta fra la banchina e la Sea Watch, assumendo il rischio (autoprodotto) dell’incastro tra le due (che comunque, intuitivamente, sarebbe stato inoffensivo per tutti gli occupanti le navi). Indi si è allontanata, e Sea Watch ha potuto attraccare. 
Vale anche per questa fase quanto detto per la precedente sulla assenza della violenza, nella opposizione all’atto del ministro (atto tuttavia, ripetesi, per quanto sopra, illegittimo, anzi illecito ove tentasse di protrarre gli eventi delittuosi sopra ipotizzati). 
Più di un commentatore ha obbiettato:
la motovedetta rappresentava lo Stato! 
Certo, ma non quello fascista del rapporto autoritario col cittadino, bensì quello democratico del rapporto legalitario e critico e paritetico con esso. Critico fino alla resistibilità dell’atto illegittimo, nei modi e nei limiti in art 393 bis cp!. 
Più di un commentatore ha obbiettato: 
la motovedetta era “nave da guerra”. 
Anzitutto non lo era (come per primo rilevato dall’alto Ufficiale di Marina De Falco, pur variamente criticato). 
Lo attesta incontrovertibilmente l’art. 29 Uncloss-Montego Bay: “Definizione di nave da guerra. Ai fini della presente Convenzione, per “nave da guerra” si intende una nave che appartenga alle Forze Armate di uno Stato, che porti i segni distintivi esteriori delle navi militari della sua nazionalità e sia posta sotto il comando di un Ufficiale di Marina al servizio dello stato e iscritto nell’apposito ruolo degli Ufficiali o in documento equipollente, il cui equipaggio sia sottoposto alle regole della disciplina militare”. 
Ora, a parte altro: la motovedetta GdF era al “comando di un Ufficiale di Marina al servizio dello stato e iscritto nell’apposito ruolo degli Ufficiali…”? 
Ma se fosse stata “nave da guerra”: 
o si implica che, in tempo di pace, potesse applicare leggi di guerra!
O che potesse eccedere le leggi italiane del tempo di pace! 
O l’essere “nave da guerra” era del tutto inconferente. La sua condotta soggiaceva alle norme giuridiche vigenti nello Stato, quelle amministrative civili penali sul divieto di atti illegittimi in danno delle prerogative civili, e sulla resistibilità mediante opposizione anche violenta ad essi. 
3.2 Ovviamente, sia l’assenza di “nave da guerra”, che, comunque, l’assenza di violenza delle resistenza, escludevano la violazione in art 1100 cod. nav.. 
La quale peraltro, più pertinentemente, avrebbe potuto essere appuntata su art. 1099 cod. nav. – Rifiuto di obbedienza a nave da guerra-: reato punito con la pena massima di due, non di dieci, anni di reclusione.
P.S
Questo scritto è stato concepito e composto (e in parte diffuso altrove) prima della ordinanza gip tribunale di Agrigento del 2 Luglio 2019.
Pietro Diaz

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