CASINI E I CARCERATI

Giorni addietro, da una sede parlamentare, l’ “onorevole Pierferdinando Casini” – detto diminutivamente “pierferdi”, per commisurargli l’altisonanza del prenome-, con affanno oratorio di chi apprenda la dizione, la voce strozzata dalla fatica occorrente, elogiando l’ intransigente repressione delle“rivolte” in carcere (contro il rischio di contagio da covid 19) poco prima rivendicata dal (parifrenico: che ha la stessa consistenza mentale ) “ministro della giustizia” Bonafede. Rivolgendo un solenne riconoscimento agli agenti penitenziari (della repressione), li ha assimilati ai medici che combattono quel virus. Per non fraintendere: Gli incarcerati (per un terzo nemmeno condannati) quali virus?
Da reprimere come tale?
Gli agenti della repressione come i medici che reprimono il coronavirus?
Cioe’, coloro che (istituzionalmente funzionalmente finalisticamente) ammalano i sani (“nell’adempimento del dovere”…) sono parificati ai medici che ( allo stesso modo) sanano i malati?
E’ chiaro che l’”onorevole”, legislatore penale del male degli incarcerati fa ogni sforzo per convincersi di legiferarne il bene.
E nella sua mente piccola, prima che meschina e perversa, forse riesce…
MA COMUNQUE, A PROPOSITO DI INCARCERATI E DI CORONAVIRUS
In una delle (“graziaddio”) meno frequenti e più antidemocratiche e fanatiche ed efferate, teocrazie del Globo, in Iran, a protezione dal covid19 capace di penetrare le carceri, sono stati liberati 75.000 detenuti (insieme ai detentori).
Nella democrazia italiana (sedicente avanzata) 60.000 incarcerati (un terzo dei quali, ripetesi, senza condanna), all’ avvento del viru, son rimasti dov’erano (insieme ai carcerieri).
Ebbene
E’ stato accertato che il virus non potesse raggiungerli?
Se non lo è stato, perché non sono stati liberati? Eventualmente ponendoli agli arresti domiciliari (d’altronde è in tale condizione il resto della popolazione italiana)?Arresti, peraltro, completamente controllabili, cioè inevadibili, mediante impiego di tecnologie collaudate da tempo ( e pur tuttavia raramente impiegate, forse perché irrinunciabili le ebbrezze delle sevizie e delle crudeltà che il carcere somministra agli incarceratori)?
O sono stati supposti, gli incarcerati, il carcere, estranei alla popolazione, al territorio, del Paese?
O è stato supposto che essi, comunque, lì potessero morire (ipotizzata la mortalità del virus)?
Ma se ciò fosse stato
Non avevano, essi, il diritto, il dovere, di rivoltarsi – per lo più, invero, suicidandosi d’impeto: dodici morti, in gran parte tossicodipendenti, che si soo gettati sugli stipetti medici degli oppiacei per ingurgitarli fino a morirne-, disperati?
Disperanti di sopravvivere ad un potere legislativamministrativo dalle fattezze (non solo) politiche di Casini e Bonafede?

pietrodiaz

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