SALVINI E TARRANT: DUE FACCE DELLO STESSO RAZZISMO?

“L’unico estremismo che merita di essere attenzionato è quello islamico”, ha diffuso il ministro dell’Interno Salvini a commento dell’eccidio neozelandese.
L’aggettivo “islamico” designa un credo religioso. E nella frase suppone (almeno un) altro “estremismo”, di (almeno) un altro credo religioso. 
E lo suppone di qualità differente da quello di cui dice, se non “merita di essere attenzionato” e se anzi è da (e per) esso che si “attenziona” (verbo da guardiani, sgrammaticato e stonato, volgarmente esibitivo di ruolo, ma condiviso dal ministro). 
Lo suppone appunto antislamico.
Come quello di Tarrant, credo antislamico armatosi (due volte) contro il credo islamico, uccidendo quarantuno, poi otto, oranti, ferendone non si sa quanti, nei luoghi sacri del loro culto, in due Moschee? 
Il credo del “rosario” che Salvini di tanto in tanto ostenta, per di più nelle esibizioni in pubblico? 
La risposta potrebbe essere affermativa (d’altronde Tarrant vi ha alluso apertamente).
Dunque (in tesi) “estremismo” religioso, quello che sgorga dalla bocca del ministro dell’Interno. Tecnicamente razzismo, se la contrapposizione delle popolazioni in base a religione è razzismo di specie religiosa. 
Esattamente corrispondente a quello esploso dalle armi del neozelandese. 
Pertanto si ha razzismo tanto nel verbo del ministro quanto nei proiettili dell’or detto sui musulmani alle Moschee.
Lo stesso razzismo. 
Si ha quindi l’essenza del razzismo. 
Una essenza culturale. 
Che non ha mai la stessa forma esteriore, ma che tuttavia ne determina ognuna. 
Che è rinvenibile dietro ogni forma che essa determini, purché se ne possieda il codice. 
Codice che in specie non potrebbe essere più semplice, e più fruibile: 
Salvini verbalizza e il pluriomicida arma il medesimo razzismo. 
Essi esprimono differenti forme della medesima essenza. 
D’altronde, non senza raccogliere nelle loro espressioni tutte le espressioni antecedenti. 
Giungendo perfino a catalogarle. 
Lo ha fatto esplicitamente Tarrant, che alle armi e dintorni ha dato nomi di pluriomicidi consumati o tentati come Breivik e Traini, o di eroi di battaglie “contro gli ottomani” (Venier e altro).
Lo ha fatto Salvini, rievocando il pericolo islamico, invocando il soccorso antislamico, materia e lingua del leghismo più conforme (indelebili il dileggio iconico di Maometto, o verbale della maomettana C. Kienge, di “calderoli”; o le viscerali variazioni sul tema di “borghezio”). 
D’altronde, come si sa, è la ripetizione di forme materiali che indizia l’essenza culturale. Che poi la ripetizione solidifica e colloca nella Storia relativa, quale sua “legge”, fino che sia esaurita o altrimenti estinta. 
Ed è sempre la ripetizione che appresta il codice semiologico (la totalità dei segni datisi che permetta l’interpretazione) dell’essenza, che ne consente l’attestazione.
Dunque, essenza di razzismo religioso (ma anche etnico: di cui però qui non si può fare analisi), quella che è scorsa multiforme, tra i borbottii di Salvini e i botti di Tarrant. 
E quella che, ergendosi a soggetto politico reale, ha la capacità di interrogare il sistema, fino a che esso ammetta la sua effettiva consistenza culturale.
Pietro Diaz

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