Furti, non è vero che si ruba per fame

IL Sole 24 ore
Furti, non è vero che si ruba per fame
(Riccardo Saporiti 22 ottobre 2017).

“Secondo una recente sentenza della Cassazione, rubare per fame non è reato. Così la Suprema corte si era espressa nel 2016 sul caso di un indigente che aveva sottratto wurstel e formaggio per un valore di 4 euro da un supermercato di Genova. Ma se si guarda ai dati sui furti, delle due l’una: o davvero si è smesso di denunciare chi sottrae del cibo per placare i morsi della fame, oppure sono motivazioni diverse quelle che spingono verso la più elementare forma di violazione della proprietà privata.
Infodata ha incrociato i dati relativi ai furti denunciati negli ultimi tre anni, forniti dal dipartimento per la Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, con il tasso di disoccupazione (questa volta la fonte è Istat) nello stesso periodo. In entrambi i casi i numeri sono forniti a livello provinciale. E, per permettere un confronto tra province con popolazioni diverse, si è scelto di visualizzare il numero di furti segnalati all’autorità ogni 100mila abitanti.
Il risultato è questo: ………………………………………………………………
Come si può vedere dal grafico, nelle zone in cui ci sono meno opportunità di lavoro è più basso anche il numero di denunce per furto registrate dalle forze dell’ordine. Che sono invece più alte dove cresce l’occupazione. Detto in altre parole: chi ruba lo fa nelle zone più ricche del Paese. E quindi pare spinto da motivazioni diverse dalla necessità di mettere insieme il pranzo con la cena.”

E tuttavia
Che domanda (il furto) e offerta (la refurtiva) crescano insieme, e coabitino, è ovvio da diecimila anni.
Ma che il domandante possa essere anche offerente, che i rispettivi stati patrimoniali si equivalgano, e quindi che egli agisca per lucro e non per sostentamento, è inaffermabile.
Di fatti, se il rischio ed il costo, la loro sproporzione al prodotto, della economia della domanda, sono incomparabilmente maggiori (fino al carcere) di quelli della economia della offerta, quella non potrebbe non essere necessitata, “obbligata” (e di fatti è acculturata,  come economia difforme e contrapposta, illegalizzata). A differenza dell’altra.
E’ dunque una domanda migrante verso l’offerta, da condizioni economiche asimmetriche, quella in questione, e per ciò non pare vera la contraria illazione dell’articolo.

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