“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario” e “la riduzione del numero dei parlamentari”

Il “… superamento del bicameralismo paritario” (fine della legge “Boschi” di revisione della Costituzione, affisso al titolo) significa raggiungimento del bicameralismo disparitario?
In logica, si.
“Paritario”, sebbene sia ( o forse perché è) plurivoco, ha rimpiazzato l’univoco “perfetto” (usuale nella letteratura della materia, e appartenuto alla prima propaganda governativa). E comunque, apposto all’oggetto del superamento, rende l’inverso, “disparitario”, più esplicativo, e veridico, di quanto farebbe l’inverso di “perfetto” (“imperfetto”).
Giacché il bicameralismo che persegue è talmente “disparitario”, di una Camera dall’altra, da annunciare monocameralismo (occulto).
Di fatti.
1.L’una Camera (dei deputati) è elettiva, i suoi membri emanano dal corpo elettorale nazionale (primo organo della sovranità del popolo intero), e sono eletti per la legislazione nazionale (d’ogni ordine e grado) e per molto altro (vd nel seguito di questa parte).
L’altra Camera (dei senatori) non è elettiva, i suoi membri non emanano dal corpo elettorale nazionale (né locale), ma da corpi politici regionali, e sono eletti per la legislazione regionale (per la promozione della Giunta regionale alla Amministrazione locale, e per molto altro). E tuttavia, generano senatori (settantaquattro), per automòrfosi (modificazione della forma per fattori interni), fra essi, e, per xenomòrfosi (…per fattori esterni), fra i sindaci (ventuno) dei corpi politici comunali delle varie Regioni.
Infine, altri cinque senatori emanano da un organismo unipersonale, il Presidente della Repubblica, solo indirettamente (attraverso il Parlamento) sorgente dal corpo elettorale (così da essere rappresentativo, esclusivamente, -non del Popolo ma – del “l’unità nazionale” : art 87.1 cost. vigente).
1.1 Essa è, quindi, completamente inelettiva.
Lo è nonostante l’ “emendamento Finocchiaro” all’ art 2, per il quale “la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Di fatti, sia pure contro l’intenzione, esso appunta recisamente “le scelte espresse dagli elettori” sui “candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Cioè le appunta sulle attribuzioni dei consiglieri regionali e le situa nel rinnovo dei Consigli. Cioè dichiara, anche letteralmente, che le attribuzioni senatoriali sorgono (per automòrfosi e xenomòrfosi, come qui è detto) dalle attribuzioni consiliari; e le stacca nettamente dalle scelte del corpo elettorale regionale, che finalizza rigorosamente alla formazione dei Consigli regionali.
Per cui mai, quelle “scelte”, potrebbero avere ad oggetto senatori.
2. Ora se, per inelettività, sono dette “nomine” (art 59.2 cost..) gli attributi senatoriali dati dal Presidente della Repubblica, nomine (l’opposto di “elezioni”) non potrebbero non dirsi, per inelettività, quelli dati dai Consigli regionali (checchè ne dica, inveridicamente quanto capziosamente, l”emendamento” suddetto: ”… coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti…”).
Anzi, a ben vedere, queste nomine (a differenza di quelle, che fanno senatore chi non abbia altro attributo istituzionale) aggiungono gli attributi di senatori a quelli di consiglieri regionali e di sindaci.
Attributi, si intende, di attribuzioni (i.e. prerogative statiche o dinamiche, giuridicamente fondate, delle istituzioni) dei rispettivi corpi politici, delle quali, le senatoriali:
– non appartengono ai Consigli regionali, che, per ciò, non potrebbero darle;
-non potrebbero ad essi appartenere, perché attribuzioni di un corpo politico nazionale (e superiore);
-non potrebbero essere commiste alle loro, perché incompatibili (conflittuali):
si pensi alla commistione della legislazione nazionale (sia ordinaria, benché minima nella Revisione “Boschi”, che costituzionale) alla legislazione regionale: nei consiglieri-senatori. O alla commistione fra la legislazione nazionale e la Amministrazione locale (per di più subordinata, e separata dalla “divisione dei poteri”): nei sindaci- senatori;
-non potrebbero inibirsi per esse, né inibirle:
di fatti, alla incompatibilità “qualitativa”, su cennata, si unisce la incompatibilità “quantitativa”, che sta nella inesercitabilità delle due attribuzioni contemporaneamente, tanta da indurle (manifestamente) a defunzione;
– (e soprattutto) non potrebbero sorgere se non dal corpo elettorale nazionale, esprimente sovranità popolare al loro livello (allo stesso livello istituzionale, tuttavia, può ritenersi esordiscano gli attributi senatoriali giungenti dal Presidente della Repubblica).
3. In conclusione, la produzione senatoriale (per auto-.xeno mòrfosi) dei consiglieri e dei sindaci regionali, inscena esseri mostranti il vizio genetico, informi, penitenti della aberrazione giuspolitica della sottrazione, al corpo elettorale nazionale, della loro formazione, incapaci di vita propria, e la cui caducità, d’altronde, è scritta a chiare lettere:
– nell’art. 2: “ la durata del mandato dei senatori coincide con quella delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti”
-. nel (corrispondente) art 7 “il senato della repubblica prende atto della cessazione della carica regionale o locale e della conseguente decadenza da senatore”.
In altre parole:
– il Senato della Repubblica è un Consiglio interregionale morente di inanità esistenziale e funzionale;
– Camera la più “disparitaria”, è Cameriera dell’altra (la loro è “bicamerale” per compassione, o per menzogna).
4. E così, le “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario”, mettono in luce il senso, già oscuro, di quelle per “la riduzione del numero dei parlamentari”: in effetti, per l’ amputazione surrettizia della metà del Parlamento.
Segue

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