Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica

Recita l’articolo 277 del codice penale (posto tra i ‘”delitti contro la personalità interna dello Stato”), che “chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente (quelli di “attentato alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica”, ndr), attenta alla libertà del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”.
Quella di cui parlasi non è la “libertà personale”, cioè corporale, “dell’articolo precedente”, è la libertà morale,  di (auto)determinazione, del Presidente, nelle scelte comportamentali o provvedimentali della sua  funzione.
Tra esse, quella di concedere “grazia”, in art 174 del codice penale.
Ora, se due “capigruppo” di due assemblee legislative (centrali), tali Schifani e Brunetta, avrebbero deliberato di chiedere, a quel  Presidente, di fare “grazia”, a tale Berlusconi, di una pena irrevocabile di quattro anni di reclusione, poiché , altrimenti, si dimetterebbero dal Parlamento, con tutti i membri del loro schieramento politico, insediato lì e al  Governo, sarebbe indubbia l’offesa alla libertà morale del Presidente, la sua riconducibilità al delitto in questione.
Tanto più quando si noti:
-che la pretesa, dei suddetti, è proceduralmente inammissibile, se, essi, non hanno la facoltà di domandare la “grazia”, perché estranei a coloro che la hanno secondo la legge;
-che la pretesa è contenutisticamente fuori misura, perché , se la grazia condona “la pena principale” , dei  quattro anni di reclusione suddetti, tre sono stati condonati da indulto (già applicato dall’organo della loro esecuzione: e, per l’articolo 183 comma terzo del codice penale, la causa di condono antecedente ferma quella susseguente, la grazia in specie), solo il quarto sarebbe condonabile da grazia;
-che, per ciò, la pretesa, in effetti, mira  ad inibire la decadenza del condannato (a più di due anni di reclusione per delitto non colposo, secondo  l’art 3 del DLvo 235/012), dall’incarico di parlamentare, forzando ad intendere che, la grazia, dissolverebbe la condanna; mentre, indulto e grazia, nel codice penale, sono “cause di estinzione della pena”, non della condanna, non toccano questa (bensì uno o più dei suoi effetti), e questa è l’unico presupposto  della decadenza del parlamentare.
Dunque, la pretesa, nella sua pretestuosità procedurale contenutistica finalistica, è altamente ricattatoria, ed attenta gravemente alla libertà del Presidente della Repubblica.

Il delitto è procedibile di ufficio, basta questo commento perché, avutane notizia, un procuratore della Repubblica possa perseguirlo.
Non senza avere gettato uno sguardo su una escrezione penale collaterale, dello schieramento politico suddetto, quella salita da tale Bondi, che, a sostegno dei pretendenti alla grazia, evoca auspica minaccia la possibilità di “guerra civile”; esattamente come chi “commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato, (ed)  è punito con l’ergastolo…”, secondo l’articolo 286 del codice penale: notisi che, per dottrina e giurisprudenza, non solo di periodo Mussoliniano, è “fatto diretto” qualunque fatto (anche l’or riferito) e, questo, è “attentato”.

Associazione Giustizia Repubblicana
per un partito della critica della politica penale

Diaz

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