SALVINI SULLA “MOTO D’ACQUA” DELLA POLIZIA

Subodorato animalescamente il rischio di essere accusato di “peculato d’uso” (art 314.2 c. p.), per avere fatto proprio (momentaneamente) un veicolo appartenente alla pubblica amministrazione (ma il peculato minore potrebbe divenire maggiore, ben più gravemente punito, se l’uso non fosse stato momentaneo o il veicolo non fosse stato restituito subito dopo esso).

Accusato di quel reato sia che avesse permesso, sia che non avesse impedito (art. 40.2 cp), al proprio figlio, quale conducente o condotto da un poliziotto, di montare una moto d’acqua della polizia di Stato.

E accusato in concorso (artt. 110, 314.2 c.p.) col poliziotto (e col superiore in grado che lo avesse permesso o non lo avesse impedito), che, sebbene affidatario esclusivo della “moto”, vi avesse condotto o accompagnato suo figlio.

E accusato (ovviamente) in concorso col “bambino” (così detto dal “ papà”, capziosamente invocante domestica benevolenza per entrambi): invero, un sedicenne dotato di “capacità penale” (se non esclusa in concreto) per art. 98 c. p. , e quindi anch’egli accusabile di peculato.

Subodorato quel rischio, si diceva, tanto prontamente da avere ordinato, o avere permesso, o non aver impedito, ai poliziotti astanti, di distogliere, seppur mediante violenza corporale e minaccia morale (vagamente “di tipo mafioso” -art 416 bis cp-: “sappiamo dove lei abita…”), un giornalista “ videomaker” presente alla trasgressiva scena, dal farne “ripresa”.

E ancor meno, ripresa, della esibizione (simbolica ) della trasmissione da padre a figlio del potere istituzionale. E della arrogante insensibilità degli operanti, alla intangibilità dei beni gelosamente custoditi dal diritto pubblico.

E subodorato il rischio così lucidamente da ammettere lì per lì (certo in un fugace cedimento) : “mi scuso, errore di papà” (sempre capziosamente invocando domestica benevolenza.. ).

Ebbene costui, riavvicinato dal giornalista mentre esercita, discinto, su un arenile assordato da musica “dance”, il suo ufficio ubiquitario di ministro dell’Interno (stavolta contornato da fan oltre che da polizia ), e interpellato sull’accaduto, risponde:

“non intendo parlare della faccenda”.

Mentre la faccenda straparlava di lui! E per il tramite del giornalista lo invitava (dialetticamente) a dire la sua. Se mai la avesse avuta, la sua, diversa da quel che era parso. .

“Attacchi me non il bambino”.

Ma è ciò che faceva il giornalista! Domandandogli perché non avesse preservato o distolto “il bambino” da quell’indebito non solo giuridico, ma anche civico etico ed estetico.

“Offenda me non il bambino”.

Così, non altro, non di più, giaculatoriamente! Per togliere spazio ad altre domande, e a differenti risposte. Sulla faccenda che, quindi, allontanava da sé, impotente e sleale, col mezzo automatico della arroganza istituzionale.

Tanto che, dopo un po’, appesantito e frustrato dalla propria monotonia, brutalmente è sbottato:

“vada a fotografare i bambini visto che le piace tanto”.

E qui l’impotenza dialettica e la slealtà intellettuale sono corse alla compensazione del fascistoide, di colui che rimuove l’incomodo con l’ insulto verbale (ovviamente disposto anche, all’occorrenza, a rimuovere l’avversario con l’ insulto fisico), fra i più alla moda e cocenti del lessico poliziesco: quello di “ pedofilo” voyeur. Nel senso di fruitore , se non di “produttore” (art 600 ter cp) di “pornografia minorile”, di colui che goda (se non attui “producendole”) riprese di atteggiamenti o simulazioni di minori di anni diciotto a ciò preparati.

Materia che il ministro ben conosceva.

Dato che il suo partito, con altri dell’auge legislativa berlusconiana in coalizione fra le più ineducate e diseducative della “seconda repubblica”, a preservazione dei minori da sessualità “diseducative” , ha previsto reati di “pornografia minorile” (in artt. 600 ter ss. c.p., sebbene già repressi, ma, si disse, clementemente e insufficientemente, dalla legge sull’Osceno in artt 527 ss. c.p.).

E lo ha fatto con tale ossessione della inibizione della sessualità del minori, non solo da punire (non essi ma) i realizzatori e produttori e distributori e diffusori e mercatori e detentori e contemplatori etc., delle relative immagini, del “materiale pornografico” (art. 600 ter cit.-). Ma da fare a meno d’essi, da prescinderne totalmente, cioè da non preservarli nemmeno indirettamente (punendo quelli).

Poiché è giunto a colpire (in art. 600 quater c.p.) la “pornografia virtuale”.

Per la quale non occorre che il minorenne disegni pornografie in carne ed ossa, basta che lo faccia nella fantasia esclusiva del disegnatore.

Facendolo In ossessione talmente accecante, da nemmeno avvertire, laicamente, di colpire il “peccato”, quell’evento tutto interiore trasgressivo di un divieto, quella entità (solo) moraleggiante che l’evoluzione storica del diritto penale ha inteso separare dal reato quale evento tutto esteriore.

E di colpirlo con reclusione fino a dodici anni. Pena pari a quella del reato di “violenza sessuale”, estrinseca e carnale. Pari a quella di taluni omicidii.

A sanzione di una sessualità puramente mentale, Da fondamentalismo penale .di tipo religioso.

Tutto ciò, peraltro, senza considerare l’indotto. Del rischio della proliferazione del voyeurismo pedofilo dalla legge indirizzata al suo annientamento!

Perché la predisposizione legislativa degli strumenti per la ricerca della prova dei reati di pornografia minorile, mediante ispezione e visione d’essi, e la pubblicazione intra ed extra processuale dei loro risultati, certo sono rimaste indifferenti al rischuio della collettivizzazione del voyeurismo “pedofilo”.

Dunque Salvini era posseduto da quella ossessione, e da quella improntitudine giuridica, allorchè rivolgeva il sulfureo invito al giornalista.

Tuttavia impressiona che abbia supposto minorenni in atteggiamenti sessuali “da ripresa”, nel luogo frequentato da lui e dal “bambino”…

Pietro Diaz

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