Magistrati censori contro Erri De Luca, perché non dobbiamo stare zitti

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Otto mesi per aver espresso un’opinione, cioè che la Tav va boicottata. E’ quanto chiesto dal pubblico ministero Antonio Rinaudo nel corso del processo contro Erri De Luca a Torino. Lo scrittore napoletano aveva pronunciato questa frase in alcune interviste rilasciate al Huffington Post e all’Ansa. L’intento era ed è chiaro: un giudizio negativissimo su una linea di alta velocità che secondo lui devasta l’ambiente, succhia denaro e non serve a niente. Un’opinione appunto che dovrebbe essere difesa dall’articolo 21 della Costituzione. Ma non per la procura di Torino che prima ha rinviato a giudizio De Luca e ora chiede per lui ben otto mesi di carcere, perché quella frase avrebbe il potere di istigare alla violenza.
Siamo tornati, in questo Paese, agli anni Settanta, quando si accusavano i cosiddetti cattivi maestri di spingere i giovani alla lotta armata. Non era vero allora, non è vero oggi. Ma oggi di quel clima di lotta e di conflitto anche ideologico è rimasto ben poco. La supremazia non la hanno i teorici della rivoluzione, il potere è quasi tutto in mano a una magistratura che in questi decenni ha assunto il ruolo di guida politica e “morale” del Paese. Chiedere la condanna di qualcuno per le sue opinioni è sempre stato grave, ma forse lo è ancora di più oggi in assenza di una cultura che vigili e che limiti il potere dei giudici. Negli anni Settanta la battaglia ideologica era forte, oggi restano sul campo pochi intellettuali coraggiosi che rischiano di finire in galera se solo osano alzare un po’ la voce.
In questo clima di assuefazione alla supremazia dei pm, nuovi censori delle idee e dei costumi, si registrano alcune contraddizioni.
Mentre infatti Erri De Luca rischia la galera, un senatore della Repubblica, Calderoli, è stato salvato dai suoi parigrado per aver offeso l’ex ministra Kyenge. Il senato doveva autorizzare la magistratura a procedere contro di lui per istigazione all’odio razziale, sulla base della legge Mancino. Questo giornale è sempre stato contrario al reato di opinione. Le idee distorte e pericolose, come quelle di Calderoli o Salvini, si combattono politicamente, non con la galera. Ma però guarda caso Calderoli si salva, mentre De Luca rischia di essere condannato per avere detto un suo parere e averlo fatto come sa fare lui: diretto, senza mediazioni.
L’altra contraddizione è insita nella sinistra. Quella sinistra che oggi scrive giustamente l’hastag #iostoconerri e si mobilita sui social in suo sostegno (in maniera molto debole, a dire il vero) spesso è la prima a chiedere punizioni per chi la pensa diversamente. Battiamoci perché lo scrittore napoletano non venga condannato, ma facciamo sì che questa sia anche un’occasione per capire come le opinioni, anche le più distanti da noi, non vanno punite semmai combattute con le armi del pensiero e dell’azione politica. Insomma la libertà di opinione va difesa sempre, non a seconda delle convenienze o dei propri convincimenti.

http://ilgarantista.it/2015/09/22/magistrati-censori-contro-erri-de-luca-perche-non-dobbiamo-stare-zitti/

 

(…)

  1. pietrodiaz 25 settembre 2015 at 19:54

Tuttavia, sminuzzando: l’accusatore che ha indicato l’oggetto della istigazione nell’uso di molotov e di cesoie, ha stravolto la fattispecie concreta e quella astratta. La prima perché De Luca evocò il “sabotaggio”, non quei due usi. La seconda perché, o, quel “sabotaggio”, è reato, o manca un elemento della “istigazione a delinquere” (che ha ad oggetto la commissione di reati: art 414 cp). Ebbene, il “sabotaggio” evocato da De Luca, non è reato. Giacchè esso, come tale, ha due previsioni codicistiche: il sabotaggio “di aziende agricole o industriali” (art 508 cp), il sabotaggio di “opere militari” (art 253 cp). E, nessuna delle due previsioni è riferibile alla fattispecie concreta (“sabotaggio”, ad oggetto assai differente: i lavori per la Tav). Quindi, la istigazione a commettere reato non parrebbe sussistita, se la sussistenza esige, non solo, che la “istigazione a delinquere” sia prevista come reato (e lo è, per art 414 cit), ma anche, che sia previsto come reato il suo oggetto (concreto), quel “sabotaggio” (e non lo è). Lo esige sotto il principio di “stretta legalità” e di “tassatività”, di tutti gli elementi della fattispecie concreta (artt 1 cp, 25.2 cost). Principio che, all’opposto, l’accusatore ha ignorato, sostituendo a “sabotare”, l’uso di “molotov” e “di cesoie” (costituente reato in materia di esplosivi o di armi o di danneggiamento di cose mobili o immobili altrui, non di “sabotaggio”). Ma che anche il difensore ha ignorato, evocando ( a quanto dice la cronaca) “il reato impossibile” (che, per l’art 49.2 cp, suppone la corrispondenza della fattispecie concreta a quella astratta – per quanto detto, nel caso in questione, mancante -, corrispondenza tuttavia apparente, non reale, per “inoffensività” del fatto: la esemplificazione scolastica è quella del furto dell’acino d’uva ).
Mentre, la diffusa protesta contro la incriminazione delle “opinioni”, che sarebbero salvaguardate dall’art. 21 Cost, è mal basata e male indirizzata. Mal basata perché la istigazione non è una opinione ma una azione. Che non è punibile quando si istighi taluno a commettere un reato, e l’istigazione non sia accolta (o, se accolta, il reato non sia commesso: art 115.comma 3 e 4 cp). Ma che è punibile quando si istighi “pubblicamente” (art 414 cp), a commettere reati, anche se l’istigazione non sia accolta (o, se accolta, il reato non sia commesso: il contrario esatto di quanto vuole l’art 115 cit.). Ciò perché, nel secondo caso, si è supposto un pericolo di reato (quello istigato) superiore a quello del primo caso, e si è reputato di poterlo punire (d’altronde chi, nel processo De Luca, avesse evocato il mito delle mura di Gerico, avrebbe accreditato pericolosità superiori…). Male indirizzata, dicevasi, la protesta, verso l’accusatore , perché è un magistrato, non un parlamentare, impotente (funzionalmente) ad abrogare i reati di pubblica istigazione; e, inoltre, tenuto ad applicarli, per art 112 cost (siffatti reati, di “espressione concettuale”, possibilitanti ma non eseguenti altri reati, detti reati, di sola possibilitazione di altri reati, assoggettando le libertà del loro autore ben prima e ben più di questi, dettero, al codice penale, l’impronta fascista, in deroga a quella “liberale”, pur coesistente nell’art 115 cit – ove, ripetesi, la istigazione è punita solo se il reato istigato sia commesso, è cioè punita ben dopo quella dell’art 414 cit.). La protesta, cioè, avrebbe dovuto dirigersi sui parlamentari della “repubblica italiana”, che hanno lasciato intatto il fascismo giuridico penale (per di più, illudendosi d’essere democratici….), e che, anzi, hanno inondato di quel fascismo (neofascisticamente cioè), di pubbliche istigazioni o “apologie” o “proselitismi” (di “reati di opinione” cosìddetti), le materie più disparate. E, subito dopo, curare (la protesta) di precisare il suo destinatario effettivo, la magistratura, quale appaltatrice esclusiva (d’altronde detentrice, ma non più dell’avvocatura, della “tecnologia” inerente, nella totale inscienza e insipienza giuridiche dell’insieme dei parlamentari) dell’attività legislativa. La protesta, cioè, avrebbe dovuto chiarire chi, degli attori dello Stato (“repubblicanodemocratico”..), realmente, ha fin qui gestito la conservazione e la riproduzione del fascismo giuridico.

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