Cassazione Erariale….

Figli di un dio minore

Giancarlo ALLIONE

Lunedì 10 febbraio 2014

L’Italia è un paese curioso, dove tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di condizioni personali e sociali, ma dove, nei fatti, diritti e doveri variano a seconda del tipo di lavoro.
La scorsa settimana Eutekne.info ha dato conto di due sentenze della Corte di Cassazione dal contenuto paradigmatico, non perché i giudici abbiano deciso in modo discriminatorio, ma perché hanno messo per iscritto alcuni effetti del sistema giuridico-economico-mediatico vigente.

Con la sentenza n. 1846 del 29 gennaio, la Cassazione ha respinto il ricorso di un contribuente contro un accertamento che aveva rideterminato il suo reddito sulla base degli studi di settore, non avendo ritenuto i certificati medici prodotti idonei a provare l’impossibilità di produrre un ammontare di ricavi pari a quello richiesto dallo studio.
Secondo la sentenza, la malattia non rappresenta di per sè un fatto che consente di disapplicare lo studio di settore, essendo necessario dimostrare che abbia impedito nei fatti l’esercizio dell’attività.
Capito? Un certificato medico non basta per giustificare un livello di ricavi inferiore a quello che la Repubblica si attende. Sappiamo tutti quanto è facile avere un certificato medico, non è quindi possibile prestarvi fede di per sè. Occorre dimostrare (ma come?) che la malattia, per quantità e qualità, ha oggettivamente impedito o limitato la capacità lavorativa.

Ma se il lavoratore, anziché essere un autonomo, fosse stato un dipendente, sarebbe bastato produrre un banalissimo certificato del suo medico non solo per starsene a casa tutto il tempo necessario a curarsi in santa pace, ma anche per percepire ugualmente lo stipendio. Il tutto, incluso appunto lo stipendio e non solo le corrispondenti tasse, a carico della collettività. Nessuno sindacherà mai se la sua malattia era tale da impedirgli davvero di lavorare. Credo che l’INPS potrebbe mostrare dei numeri interessanti su quanto sia di molto più cagionevole la salute degli italiani il lunedì rispetto al mercoledì.

Prima conclusione. Se un lavoratore autonomo la domenica pomeriggio sente salire la febbre, è meglio che si prenda una tachipirina e lunedì se ne vada a lavorare lo stesso. Oltre a quanto ha sempre saputo, cioè che la collettività non si farà mai carico del suo mancato reddito, ora deve anche sapere che non può accampare di essere stato malato come scusa per non aver raggiunto il target di fatturato che lo Stato gli ha assegnato e che gli saranno chieste le imposte sul reddito che, causa la malattia, non è riuscito a produrre.
Tuttavia, anche se va a lavorare, deve fare attenzione. Se il lavoro lo fa per un ente pubblico, la probabilità di dover aspettare un’eternità il pagamento è molto alta, e così veniamo alla seconda sentenza.

Con la decisione n. 5467 la Cassazione ha ribadito il principio dell’indifferenza della situazione economica dell’impresa rispetto agli omessi versamenti penalmente rilevanti. Quando si tratta di pagare lo Stato non c’è crisi che tenga e il mancato pagamento, quando è reato, è tale anche se a causarlo è stata una Pubblica Amministrazione che non onora i suoi debiti.
Ma allora, tutte le volte in cui l’imprenditore ha somme sufficienti solo per pagare i dipendenti, dovrà necessariamente commettere un reato, se gli importi sono rilevanti? No, non è obbligatorio.
Poniamo che disponga di una somma di 300.000 euro e che questa corrisponda al “netto in busta” dei suoi dipendenti.
Egli dovrà spiegare loro che dispone solo di 300.000 euro e che loro, i dipendenti, non essendo né parlamentari, né consiglieri regionali, né dipendenti pubblici e neppure pensionati, non appartengono ad alcuna delle classi sociali che devono prendere lo stipendio cascasse il mondo nelle quantità e nei tempi stabiliti. Di conseguenza dei 300.000, più o meno per 75.000 andranno all’erario, 75.000 all’INPS e quel che resta a loro.
Qualcuno fra i dipendenti potrebbe obiettare che c’è un contratto di lavoro, che loro hanno fatto tutto quanto è stato richiesto e che l’azienda ha servito l’ente pubblico nelle quantità, qualità e tempi pattuiti.
L’imprenditore dovrà però essere fermo nello spiegare che pagarli di meno non è un reato, mentre lo è non versare le ritenute e lui non intende trasformarsi in un criminale. Dovrà esortarli a spendere meno per i figli o a non pagare l’affitto di casa, insomma a farsi bastare quello che resta dopo aver versato INPS e ritenute.
Qualcuno, fra i più indomiti, eccepirà che l’azienda sarebbe sana se lo Stato pagasse e che, non pagando i dipendenti, la si condanna a morte certa. A questo punto, all’imprenditore non resterà che chiudere dicendo che dell’azienda e dei suoi dipendenti non importa niente a nessuno, purchè lo Stato abbia tutto quello che gli è dovuto (credo ragionassero così anche i nobili del settecento quando requisivano il raccolto dei loro contadini).
Seconda conclusione. Sede in Irlanda e produzione in Cina.

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Giancarlo ALLIONE http://www.eutekne.info/Sezioni/Autore_giancarlo_allione.aspx?idrecensore=175

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