17.03.13

“….ho deciso di impiegare la mia competenza professionale in politica…”, proclama il senatore direttore nazionale antimafia, “Grasso” (appena eletto presidente del senato della repubblica), al discorso dal secondo seggio dello Stato, adesso ufficialmente “antimafia”, cioè, della magistratura per la distruzione di talune popolazioni meridionali, previa loro segregazione nelle camere di tortura del 41 bis.

Di fatti, il neosedente, al cospetto delle complessità della politica, nazionale, per la cura delle quali il senato fu istituito, prende iponoicamente a recitare (pessimamente) l’artificiosa invocazione funebre della popolana siciliana munitasi, sotto le telecamere trepidanti, della facoltà (già appartenuta agli dei) del perdono condizionale degli uccisori del marito, “io vi perdono…  purché vi inginocchiate…”.

Poi, passa al ricordo (adesso  libero, senza conferma documentale) della esortazione che gli avrebbe rivolto “Antonino Caponnetto”, il capo (gutturante immancabilmente parole emaciate, esangui, dell’altrove mentale, con affettazione pretesca, parrocchiale) dell’ufficio istruzione del tribunale palermitano: “coraggio ragazzo” (eppure, l’esortato avrebbe avuto poco meno di cinquantanni, ma “ragazz(in)o” celebra da tempo un giovane magistrato ucciso, pare, dalla mafia siciliana e subito acquisito al martirologio glorificante la “antimafia”: anche “Ingroia”, oggi politicando come “Grasso”, si è annesso il diminutivo),  tieni la schiena dritta ed ascolta la voce della tua coscienza” (tipica postura, in effetti, della magistratura antimafia, inquirente e giudicante, per la quale, il diritto è simulazione e pretesto, copertura di operazioni militari, di liquidazione dell’accusato, secondo “coscienza”).

Poi passa ad auspicare commissioni parlamentari di inchiesta su “stragi irrisolte”, riferendosi, in effetti, ad alcune del martirologio della “antimafia”, in verità già risolte, da questa, a suo modo (mediante uso di “dichiaranti” a comando e al soldo), addirittura con valore di giudicato, ma rimesse in gioco perché, attribuendo “soltanto” alla mafia, non anche allo Stato, l’uccisione di alcuni magistrati, poco eroificante questi.

Poi passa a declamarsi “allievo di Falcone”, senza avvertire che potrebbe denigrarlo, se la propria “competenza professionale” avrebbe  la misura della “coscienza” (in effetti, quante volte abbia parlato, si e’ udito diritto tanto quanta politica nel discorso in commento). Tuttavia, gli agiografi del sullodato (come di altri suoi compagni di sventura), non si sono ancora determinati a pubblicarne gli atti giudiziari, o altre opere, che ne indichino il valore di maestro (o, più semplicemente, di magistrato bouche de la lois, osservante la legge, secondo la previsione della Costituzione della Repubblica).

Con ciò, il presidente del senato procuratore nazionale antimafia, compiaciuto (e, invero, stavolta anche compiacente),  ha preso congedo.

Qualche ora dopo, il suo promotore primo elettore ed estimatore, Bersani di Bettola, fuor di scherzo come raramente gli accade, intervistato ad una telecamera, ha commentato : “tira aria nuova”…

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