Finché morte non ci liberi

Finché morte non ci liberi
Ergastolo ostativo: detenzione senza sconti. E senza recuperi.
di Silvia Zingaropoli

Dicono che in Italia l’ergastolo vero, quello «per tutta la vita», in realtà non esista. Dicono che «più di 15/20 anni di galera, alla fine, in Italia non se li fa nessuno». Dicono anche che, in Italia, la certezza della pena non sia di casa. Dicono tante cose, in Italia. Ma non dicono che proprio in Italia ci sono circa 1.200 detenuti che, in carcere, ci resteranno finché “morte non ci separi”.

PENA PER I REATI DI MAFIA. Nato negli anni ’90, quale dura risposta dello Stato alla rapida diffusione dei reati di mafia, l’ergastolo ostativo è appunto la pena prevista per tutti gli imputati condannati per associazione mafiosa. O meglio, non tutti.
L’ergastolo ostativo è previsto solo per chi decide di non collaborare con la giustizia. E a volte i motivi di tali reticenze sono legati a molteplici fattori, non sempre dati dalla malvagità dell’individuo.
Nonostante un apposito Comitato europeo, in passato, abbia duramente condannato questo tipo di pena in quanto «inumana e degradante», i vari governi italiani che si sono succeduti negli anni non hanno fatto alcun passo indietro. Anzi, il ministro Alfano ha più volte ribadito la sua volontà di riaprire le carceri di Pianosa e dell’Asinara, luoghi storici del cosiddetto “carcere duro”.
La storia di Alfredo e la ’subcultura’ siciliana

È il caso di Alfredo Sole, detenuto da più di 20 anni e attualmente recluso al carcere di Opera. Iniziamo col dire che, probabilmente, Alfredo da quel carcere non ne uscirà mai sulle sue gambe.
Dopo qualche trafila, riusciamo a comunicare con lui. Gli chiediamo di raccontarci la sua storia. «Il primo motivo per cui mi trovo in carcere», ci spiega, «è legato a quella subcultura siciliana (per fortuna oggi sempre meno presente) per cui le istituzioni vengono tenute fuori da tutto ciò che riguarda i problemi personali e familiari».

LA VENDETTA D’ONORE. Quella subcultura quindi, secondo Alfredo, farebbe sì che «vendicare l’uccisione del proprio fratello diventa una priorità personale, dove lo Stato deve restare fuori. La mia colpa è stata quella di avere quella mentalità».
Alfredo ci tiene anche a dire che non rifarebbe nulla di quello che ha fatto, ma non è «una risposta scontata» ha aggiunto. «Con il senno di poi comprendi che non era l’unica scelta. Distruggere altre vite, e di conseguenza la propria, non può essere un prezzo da pagare per soddisfare la propria sete di vendetta. Quella ’soddisfazione’ non è altro che illusione distruttrice».

PEGGIO DELLA PENA CAPITALE. L’ergastolo ostativo, ovvero, «una pena di morte con vesti civili», per usare le parole del nostro interlocutore. Infatti, ci spiega il detenuto, «una pena che uccide la speranza non può che essere peggiore della pena capitale. Pochi sanno che l’ergastolano ostativo non vedrà mai la luce». Perché è escluso dalla possibilità di usufruire dei benefici di legge.

NIENTE PERMESSI E BENEFICI. Permessi premio, semilibertà, libertà condizionale: sono tutti i benefici previsti dalla nostra Costituzione. Secondo la Carta, infatti, in Italia nessun essere umano dovrebbe scontare una condanna a vita o, come lo chiama Sole, un «fine pena mai». Invece «l’ergastolo ostativo viola l’art. 27 della Costituzione nella totale indifferenza sociale e istituzionale», ha spiegato.
«Venti anni di galera e non c’è ancora un piano trattamentale. Non c’è una osservazione per delineare la mia personalità. Dopo venti anni.. il nulla. Se questo non è abbandono, non saprei in che altro modo definirlo…». Che fine abbia fatto, dunque, il principio rieducativo della detenzione, nel caso dell’ergastolo ostativo, non si sa.
E secondo Alfredo Sole non è solo un problema di indifferenza da parte delle istituzioni, ma è un fatto anche legato alla carenza di operatori interni che possano porre la loro attenzione sull’uomo-detenuto.
«Alcuni mesi fa», ci ha raccontato, «feci istanza al magistrato di sorveglianza per una licenza premio. Mi aspettavo il rigetto con la solita novella dell’art. 41 bis (l’ostativo). Ma la motivazione di rigetto fu un’altra. Le riporto per intero la parte interessante: «(…) rilevato che manca il programma di trattamento di cui l’esperienza dei permessi premio costituisce parte integrante (…) Rigetta allo stato l’istanza». Manca il programma di trattamento dunque. E così si butta la chiave.

ERGASTOLO SENZA REDENZIONE. Se un ergastolano ‘normale’ sconta la sua pena nella consapevolezza che uscirà di prigione se avrà fatto un percorso carcerario ‘da manuale” (cioè buona condotta, partecipazione trattamentale, ecc), «un ergastolano ostativo sconta la sua pena nella consapevolezza che quel ‘fine pena mai’, qualunque sia il suo percorso carcerario, è reale. Non uscirà mai, almeno che non ceda al ricatto istituzionale». Ovvero, uscirà solo se deciderà di collaborare con la giustizia. E «la collaborazione è intesa come ‘metti qualcun altro al posto tuo’».

Domanda. Sole, non ha mai pensato di collaborare con la Giustizia?
Risposta. Non posso negare di averci almeno pensato. Sono entrato in carcere a 23 anni. Dopo qualche anno fui scaraventato al regime del 41 bis. Un nuovo tipo di carcerazione dove le torture psicologiche, le umiliazioni, le provocazioni, erano all’ordine del giorno e spesso anche della notte. In una carcerazione di questo tipo ti si presentano solo tre tipi di scelta: collaborare con la giustizia, il suicidio, l’ostinazione ad andare avanti nonostante tutto e tutti. Io scelsi la terza, ma non senza aver considerato anche le altre due scelte.
D. Come si vive sapendo di non avere prospettive per il futuro?
R. Oggi sono un uomo di 43 anni con nessuna prospettiva per il futuro. Ma nonostante tutto credo di essere cresciuto andando verso un cambiamento totale della mia personalità. Nel momento in cui ho smesso di ‘giustificare’ le mie azione del passato, sono riuscito a comprendere gli errori della mia breve vita libera, anche se non mi sono riappacificato con me stesso. Difficile scontare una pena così in modo sereno.
D. Com’è la giornata-tipo di un ergastolano ostativo?
R. Prima di risponderle come si sviluppa la mia giornata, deve conoscere cosa è ‘un giorno’ per un ergastolano. Per chi deve scontare una breve condanna, il trascorre di un giorno è per lui molto importante perché da conteggiare. Chi ha una condanna più o meno lunga conta i giorni e i mesi. Chi ha una condanna all’ergastolo conta gli anni, come se fossero mesi. Una giornata per l’ergastolano non è contabile, è inesistente, così come lo sono le settimane. Una giornata è sempre uguale a se stessa negli anni. È una frazione di tempo nell’infinito.. cioè.. nulla».
D. Il nulla…
R. Io trascorro il mio ‘nulla’ dividendomi tra gli studi universitari di filosofia e la corrispondenza con l’esterno. Tutto il resto è ‘automatizzato’. Non ci sono sviluppi, ci sono solo gesti ripetuti da venti anni. Anche questa inutilità giornaliera imposta al detenuto fa parte di quella che io definisco ‘filosofia spersonalizzante”.
D. E poi cosa resta?
R. Poco o nulla. Senza un vero ‘percorso’, il carcere resta solo una discarica sociale.

Domenica, 27 Marzo 2011

( http://www.lettera43.it/attualita/10525/finche-morte-non-ci-liberi.htm )

“Tra i primi fervidi e impassibili torturatori del “41 bis”, prontamente spostatosi (politicando con i DS, da “pubblico ministero” esemplare), al sottosegretariato al ministero della giustizia per poterlo essere più direttamente; oggi, emarginato nella politica, si ostina a farlo nella finzione, regista e sceneggiatore e attore, delle glorie di quella tortura, minacciosamente inasprita dal titolo dello spettacolo (che al momento colonizza la supina isola di Sardegna): “chi ha paura muore ogni giorno”…

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